La camorra di Ponticelli è, per molti versi, parecchio simile a quella di Scampia: pochi clan dominanti sul territorio, affari leciti e illeciti a svariati zeri, ricorso alle tecniche di guerriglia per l’eliminazione degli avversari e, soprattutto, sostanziale invisibilità alle indagini nei primi anni della loro storia criminale.
Più specificamente, il clan Sarno è parecchio simile al clan Di Lauro perché entrambi hanno avuto un capo indiscusso (Ciro ’o sindaco e Ciruzzo ’o milionario, per ironia della sorte simili anche nel soprannome) ed entrambi sono entrati nel cono di luce della magistratura sostanzialmente nello stesso periodo, il 1998, ad opera – e questa è un’ulteriore coincidenza – dello stesso pool investigativo, formato dai pm antimafia Giovanni Corona e Luigi Bobbio. Tutti e due gli schieramenti si sono, inoltre, caratterizzati per la ferocia e la determinazione con cui hanno reagito ai tentativi di “scissione” (De Luca Bossa e Raffaele Amato) che ne avrebbero pregiudicato il funzionamento e la stessa sopravvivenza.
LA STRATEGIA DELLA TENSIONE – Per annientare i rivali, i gruppi di Ponticelli hanno fatto uso di armi e tattiche di matrice terroristica. Gli esempi, purtroppo, non mancano: la strage del bar “Sayonara”, costata la vita di sei uomini, nel 1989; l’arresto – nel settembre del 1991 – di due giovani, di sedici e diciassette anni, sorpresi in possesso di un ordigno ad alto potenziale che avrebbe dovuto sterminare i capi della famiglia Formicola, durante un summit a San Giovanni a Teduccio, a quel tempo in rotta di collisione con i Sarno; l’autobomba in cui perde la vita Luigi Amitrano, di ritorno dalla visita in ospedale della figlia, nell’aprile 1998, ad opera di Antonio De Luca Bossa; e – in tempi più recenti – l’attentato sventato ai danni dei capi della famiglia Panico di Sant’Anastasia come rappresaglia per l’omicidio di un affiliato ai Sarno. Il progetto prevedeva di attaccare con delle calamite cinque candelotti di dinamite alla vettura blindata dei boss rivali e di farla saltare in aria, dopo averla sventrata a colpi di fucili mitragliatori.
LA STRUTTURA E GLI AFFARI – Già dieci anni fa, le indagini della magistratura avevano analizzato la pericolosità militare e l’efficienza economica della malavita di Ponticelli, tant’è che nella requisitoria del 16 novembre 1999, l’allora pm antimafia Eduardo De Gregorio, chiedendo la condanna di 38 imputati, definì la banda di Ciro Sarno «un clan camorristico gestito come una vera e propria azienda, con una rigida divisione di ruoli e turni di lavoro per la vendita degli stupefacenti», la quale «viene affidata a turno ai vari responsabili dell’associazione, in modo che ciascuno ne trattenga i proventi», in maniera tale da «realizzare una sorta di incentivo ad ampliare il giro di acquirenti».
E ancora: nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere del maggio 2009, a carico di 64 affiliati al gruppo, il gip Antonella Terzi scrive: «Si è al cospetto di cellule di un organismo unico, in qualche misura riproducenti le esperienze della criminalità organizzata del Casertano. L’impressione assai poco tranquillizzante è che i Sarno vogliano proporsi nel Napoletano quale “cupola egemone”, seguendo lo schema dei Casalesi, a loro volta ispirati dalle mafie calabresi e siciliane dei mandamenti e delle ’Ndrine».
I business della struttura criminale sono molteplici e, tutti, assai ricchi: naturalmente, c’è il traffico di droga, c’è l’usura, ma ci sono anche le estorsioni ai commercianti e agli ambulanti dei mercatini regionali, le mazzette sugli appalti pubblici e privati e la gestione dei videopoker.
E proprio a proposito degli interessi della camorra di Ponticelli sulle macchinette “mangiasoldi”, il boss Giuseppe Sarno racconta al pm Vincenzo D’Onofrio che il titolare della ditta che se ne occupa, per conto dell’organizzazione, versa un “regalo” di circa 14mila euro al mese, più singole quote ad altri rappresentanti della cosca. L’imprenditore, in una circostanza, dovette addirittura anticipare 60mila euro per pagare i festeggiamenti, in un albergo della provincia, in occasione di un anniversario di matrimonio di uno dei capi del clan Sarno.
Altro capitolo del ricco bilancio della camorra spa, prosegue il pentito, riguarda l’«attività di compravendita degli appartamenti popolari, nel senso che sia il venditore sia l’acquirente di quegli immobili, che in realtà non potrebbero vendere perché di proprietà del Comune, sono costretti a corrispondere una certa somma che si aggira intorno ai 1500-2000 euro». Alla tangente, non si sottrae nessuno, anche quelli che erano definiti “amici” del clan.
D’altronde, lo stesso soprannome di Ciro Sarno, ’o sindaco, si vuole far risalire alla sua abilità nel “colonizzare” i rioni di edilizia pubblica attraverso l’assegnazione pilotata degli appartamenti ad affiliati e “compari” del gruppo.
LA SUCCESSIONE AL COMANDO – La cosca del rione De Gasperi si è anche caratterizzata, negli anni, per l’estrema flessibilità che le ha permesso di superare, senza gravi difficoltà, le detenzioni e le latitanze dei suoi capi storici, sia grazie al ricorso a uomini di fiducia, che hanno gestito le fasi di interregno, sia grazie alla capacità delle donne dei padrini di sostituirsi ai mariti e di continuare a gestire l’organizzazione. Come dimostrato, peraltro, dalle indagini che nell’agosto del 2002 portarono alla cattura delle compagne di Ciro e Vincenzo Sarno, accusate di aver assunto e mantenuto il controllo del malaffare nell’area orientale della città, nonostante la lontananza dei coniugi.
I TERRITORI E LE ALLEANZE – Oltre ai rapporti di collaborazione con le famiglie Mazzarella e Misso (la compagna del boss Giuseppe ’o nasone, Assunta Sarno, era la sorella dei padrini di Ponticelli), il lavoro investigativo di questi ultimi anni ha portato alla mappatura degli interessi e delle alleanze strette dalla malavita di Ponticelli. Di particolare importanza, è l’accordo – al centro di un’inchiesta dell’ottobre 2008 – tra esponenti del clan Sarno e uomini della cosca Longobardi, attiva nell’area flegrea, per la gestione del racket tra Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida. Il rapporto di collaborazione, secondo alcuni collaboratori di giustizia, sarebbe nato da un patto siglato in carcere tra i boss Gennaro Longobardi e Giuseppe Sarno, durante la detenzione comune.
Negli anni, l’influenza dei Sarno si è estesa al centro della città (nella zona del Mercato con i fuoriusciti dei Mazzarella; alla Torretta, in collaborazione coi Frizziero; nei Quartieri Spagnoli, attraverso il sottogruppo dei Ricci) con accertate proiezioni criminali nella provincia vesuviana, ormai quasi del tutto sotto il loro controllo. Ciò che accadrà dopo è difficile dirlo, visto che la cosca è stata pesantemente ridimensionata dallo straordinario lavoro di magistratura e forze dell’ordine.
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