venerdì 1 gennaio 2010

Il boss latitante muore in ospedale

Era sfuggito alla cattura due giorni prima, Vincenzo Lo Russo. Il suo nome compariva, infatti, nell’elenco dei camorristi da arrestare, perché ritenuti legati al gruppo casalese guidato da Antonio Bardellino. Secondo la magistratura, insieme ai fratelli, faceva parte dell’ala “militare” della “Nuova famiglia”, il cartello criminale che si contrappone allo strapotere cutoliano.
Le ricerche delle forze dell’ordine non durano molto, però. All’alba del 18 marzo del 1984, lo trovano morto all’interno dell’ascensore dell’ospedale “Incurabili”, nel centro storico della città. È riverso con la faccia contro il pavimento, vestito. E non respira più.
Gli infermieri che scoprono il cadavere, intorno alle cinque e trenta del mattino, notano subito che sul corpo non ci sono ferite provocate né da armi da taglio né da colpi di pistola. Dunque, non è stato ammazzato. Più fatalmente, si scoprirà grazie all’autopsia, Lo Russo è stato stroncato da un malore, a trentacinque anni.
Gli inquirenti riescono, grazie a un complesso lavoro investigativo, a ricostruire le ultime ore del giovane boss, braccato dai carabinieri e dalla polizia. Dopo aver trovato rifugio nei pressi di Forcella, grazie ai buoni rapporti con la famiglia del padrino Luigi Giuliano, Lo Russo – già denunciato in passato per porto d’armi, associazione camorristica e droga – è stato colto da un primo attacco, che lo ha obbligato a ricorrere alle cure mediche, malgrado il rischio di essere scoperto e di finire in galera. Esce dal nascondiglio e si reca in ospedale, con la speranza di passare inosservato.
Ciò che non si riuscirà a stabilire è se Lo Russo, al momento di accusare il malore che l’ha stroncato, fosse già stato visitato da un sanitario della struttura, che si trova a poche centinaia di metri dal “feudo” dei Giuliano. Nessuno dei medici, infatti, dirà di essere stato avvicinato da quell’uomo per un consulto.
Ottenuti i risultati dell’autopsia, arriva il momento dei funerali, che si tengono alle sei del mattino in forma strettamente privata il 20 marzo, nella chiesa di Secondigliano, con sei ore di anticipo sul programma. Un provvedimento che l’allora Questore di Napoli, Aldo Monarca, adotta per problemi di ordine pubblico. Le batterie di fuoco della “Nuova camorra organizzata”, molto probabilmente, ne avrebbero approfittato per compiere l’ennesima strage di quegli anni di morte e distruzione.

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