venerdì 1 gennaio 2010

Il profilo criminale di Antonio De Luca Bossa

Le prime informative su Antonio De Luca Bossa parlano di precedenti per associazione camorristica, omicidio e detenzione illegale di armi: è il figlio di Umberto De Luca Bossa, capozona del clan Sarno a Volla, e giovane e spregiudicato killer del gruppo. Alcuni dissidi mai sanati con la cosca di appartenenza lo portano, tuttavia, col tempo, a rivestire il ruolo di capo dell’ala “scissionista”. Il desiderio di emergere e di sostituirsi ai vecchi capi lo porta, nel giro di pochissimo tempo, a diventare il loro nemico più agguerrito.
De Luca Bossa è anche l’ispiratore della strategia della tensione che, nel 1998, terrorizza l’area orientale della città. Mandante dell’autobomba nella quale muore Luigi Amitrano, nipote dei Sarno, viene arrestato il primo maggio del 1998, al termine di una indagine lampo dei pm antimafia Giovanni Corona e Luigi Bobbio, che disarma le due fazioni in lotta ed evita una spaventosa rappresaglia, peraltro già programmata. Dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, emerge infatti che i Sarno volevano usare kalashnikov e bazooka per annientare i nemici, dopo averli stanati con i lacrimogeni dalle abitazioni.
Il blitz vede impegnati oltre duecento carabinieri, che cingono d’assedio il quartiere di Ponticelli e abbattono i fortini dei clan eretti a difesa delle abitazioni dei padrini.
Seppur dietro le sbarre, De Luca Bossa riesce comunque a creare una propria banda di “fedelissimi” cui affida il compito di taglieggiare commercianti e imprenditori e di spacciare droga in competizione con i Sarno. La banda “scissionista” si sceglie come quartier generale l’area conosciuta come Lotto Zero, a ridosso di via Bartolo Longo.
Del giovane boss, iniziano a parlare diversi collaboratori di giustizia (Costantino Sarno, Gaetano Guida, Luigi Esposito, Antonio Formicola) che svelano che a sostenerne i piani criminali è l’Alleanza di Secondigliano, a quel tempo in lotta con i Sarno e i Mazzarella.
La procura antimafia gli arresta anche la mamma, Teresa De Luca, convivente del boss di Pianura, Peppe Marfella, contestandole ruoli direttivi all’interno dell’organizzazione di Ponticelli durante l’assenza del figlio. La bloccano in un camping a Sapri, mentre si trova in un camping con la sorella.
Agli inizi del Duemila, la banda di De Luca Bossa subisce, a sua volta, una scissione ad opera di Pasquale Fusco e Gianfranco Ponticelli, che porta a una nuova scia di sangue nei Comuni di Cercola e di San Sebastiano al Vesuvio.
Con una condanna definitiva all’ergastolo per strage, nel 2008, Antonio De Luca Bossa lascia il carcere per un periodo di ricovero in una struttura psichiatrica di Roma. Per i medici soffre di anoressia, ma ciò non gli ha impedito di continuare a gestire gli affari illeciti del suo gruppo, ormai ridotto a un manipolo di pochi affiliati, e a immiserire commercianti e imprenditori di Cercola con assurde richieste di denaro. Un nuovo provvedimento di custodia lo rispedisce in galera, dove tuttora si trova.

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