venerdì 1 gennaio 2010

La strategia terroristica dell'Alleanza di Secondigliano

La caratteristica forse più inquietante della camorra di Secondigliano è il ricorso, sistematico, a forme estreme di violenza, che difficilmente si erano viste all’ombra del Vesuvio. Una strategia del terrore che si manifesta in tutta la sua potenza in più di un’occasione: il 25 aprile 1998, a Ponticelli, il gruppo di Antonio De Luca Bossa, legato all’Alleanza di Secondigliano, piazza un ordigno nella vettura blindata guidata da Luigi Amitrano, nipote dei boss Sarno. La vettura, blindata, salta in aria e l’occupante muore.
Il 2 ottobre successivo, un’altra autobomba esplode nel cuore del rione Sanità, con l’obiettivo di uccidere Giulio Pirozzi, “braccio destro” del padrino Giuseppe Misso, nemico dei Licciardi. L’attentato non provoca vittime, ma fa contare ugualmente tredici feriti. Il giorno dopo, sabato 3 ottobre, un manipolo di camorristi, sempre legati all’Alleanza di Secondigliano, cerca di ammazzare con un colpo di bazooka il boss Pietro Lago, ma il proiettile – contundente e non esplosivo – manca il bersaglio e squarcia un albero.
Ma, andando ancora più indietro nel tempo, ci si accorge che le prove generali della guerriglia civile di stampo camorrista c’erano state già a partire dal 1991, secondo quanto racconta il pentito Rosario Privato, ex killer del Vomero: «Un attentato è stato effettuato nel 1991 quando Antonio Caiazzo e Gennaro Formigli hanno collocato nell’auto di Peppe ’a viola (Giuseppe Ceglia, appartenente alla cosca rivale, ndr) una bomba. La notte fu collocata la bomba ed il pomeriggio successivo Giovanni Alfano, a bordo di un’autovettura nella quale si trovava con Alessandro Desio, premette il telecomando che fece esplodere l’autovettura alla Torretta. Peppe ’a viola saltò in aria con tutta la macchina ma rimase solo ferito».
Peraltro, a vivere sulla propria pelle la ferocia “secondiglianese” sarà proprio Privato, cui sarà ammazzato uno zio come vendetta trasversale per la sua decisione di collaborare con la giustizia.
La vittima, Giovanni Arpa, soprannominato ’o pazzo, per il suo carattere esuberante ma sostanzialmente innocuo, venne rapito da un commando di malavitosi mentre si trovava in via Sigmund Freud, al rione Alto, e impiccato allo stipite di una porta, all’interno di una masseria, in località Casinelle, a Chiaiano. L’uomo, di sessantotto anni, morì dissanguato.

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