Giuseppe Lo Russo finisce in manette, il 13 novembre 1982, durante un summit di camorra a Forcella. A prenderlo, sono gli uomini dell’allora capo della Mobile, Franco Malvano. È ricercato da quasi un anno. Insieme a lui viene arrestato anche Ciro Mariano, boss dei Quartieri Spagnoli. Allora, Lo Russo è uno dei tanti padrini emergenti dell’area di Secondigliano, che si arricchisce con il contrabbando, il traffico di droga e il lotto clandestino.
Il 22 luglio 1998 è a Malaga, in Spagna, circondato gli agenti della polizia spagnola e dell’Interpol, che lo hanno bloccato dopo una fuga durata migliaia di chilometri. Lo Russo viene sorpreso in strada, a poca distanza dall’aeroporto: alle forze dell’ordine consegna una carta di identità contraffatta, intestata a un piccolo pregiudicato napoletano. Solo le impronte digitali lo tradiscono.
È un estremo tentativo, di cui – peraltro – si era servito pure qualche anno prima, in occasione di un precedente arresto: in quell’occasione, la carta d’identità intestata a Vincenzo Taglialatela era quasi passata inosservata. Solo il sospetto di un poliziotto, che aveva notato come la fotografia fosse molto più recente, aveva impedito la beffa.
Due giorni dopo, Giuseppe Lo Russo è già in Italia, in una cella del carcere di Rebibbia, lontano dal lusso e dalle comodità del soggiorno iberico. Negli anni successivi, verrà coinvolto in nuove indagini della Dda per associazione camorristica e traffico di stupefacenti. È attualmente detenuto.
Suo fratello Mario, invece, viene arrestato nel marzo del 2002, per una serie di estorsioni a imprenditori impegnati nella realizzazione di opere edilizie (alloggi, scuole, parchi) nella periferia nord di Napoli. Le indagini del commissariato Scampia, disposte dal pm Giovanni Corona, accertarono che Lo Russo aveva raggiunto un accordo, per la divisione delle aree di competenza e del business, con l’allora sconosciuto gruppo di Paolo Di Lauro: era stata taglieggiata finanche la ditta incaricata dell’abbattimento della “Vela 2”, a Scampia. Appena un anno prima, al padrino erano stati confiscati beni per un miliardo di lire.
L’ultimo dei fratelli, Carlo, il più giovane, ha all’attivo diversi arresti per favoreggiamento, armi, furto e ricettazione: lo bloccano, in un appartamento in via Janfolla, i carabinieri. È il 2 dicembre 1996. Lo Russo è latitante da un anno, quando scatta il blitz dell’Arma. Deve scontare trenta mesi di carcere. Nel 2002, è tra gli undici indagati in una inchiesta della procura antimafia di Napoli su un traffico di stupefacenti gestito dalla camorra di Secondigliano in collaborazione con i clan dei Quartieri Spagnoli.
Della famiglia Lo Russo, intanto, iniziano a parlare vecchi e nuovi collaboratori di giustizia, che offrono lo spunto per l’avvio di altre inchieste. Si scopre così che i fratelli sono entrati in rotta di collisione con i Licciardi, fuoriuscendo – in pratica – dal vertice dell’Alleanza di Secondigliano.
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