Fino all’esplosione della faida, le indagini della magistratura e le informative delle forze dell’ordine si erano poco soffermate sul ruolo e sul potere criminale dei figli di Paolo Di Lauro. Nell’inchiesta del settembre 2002, compariva infatti il solo Vincenzo Di Lauro, secondogenito del boss, indicato come vero e proprio “alter ego” del padrino, incaricato di gestire il business del contrabbando di sigarette e di tenere i rapporti con i capi-piazza e gli importatori di droga.
In realtà, come sarà dimostrato in maniera drammatica dall’esplosione di violenza nella guerra contro gli “scissionisti”, tutti i figli maggiorenni di Ciruzzo ’o milionario avevano ruoli decisionali all’interno della cosca. E ciò sarà ancor di più chiaro, agli investigatori, quando il padrino si darà alla macchia lasciando le redini dell’organizzazione nelle mani di Cosimo, Ciro e Marco. A cui si aggiungeranno, in un secondo momento, anche Nunzio e Salvatore.
Cosimo – diventato famoso in tutto il mondo grazie a una immagine che lo ritrae, all’uscita del comando provinciale dei carabinieri, con indosso un giubbotto di pelle nera e lo sguardo truce rivolto agli obiettivi dei fotografi – è stato condannato all’ergastolo, in primo grado, per l’omicidio della giovane Gelsomina Verde, anche se gli inquirenti sono convinti che la quasi totalità dei delitti compiuti dai killer di via Cupa dell’Arco sia riconducibile, direttamente o indirettamente, agli ordini del giovane capoclan.
Dal momento dell’investitura, la sua dittatura dura poco meno di tre anni, perché – all’infuriare della faida – i militari dell’Arma lo catturano nel Terzo mondo. È il 21 gennaio 2005: “Cosimino”, com’è conosciuto a Secondigliano, è latitante da sei settimane. In sua difesa, il popolo dei rioni suburbani di Scampia scende in strada e aggredisce, frontalmente, i carabinieri, che sono costretti a chiamare i rinforzi. Il giorno dopo, l’allora ministro dell’Interno, Beppe Pisanu, dirà che la camorra, a Napoli, offre pane e companatico.
Dei figli del padrino resta in libertà, oggi, soltanto Marco. È latitante dal 7 dicembre 2004, quando la Procura antimafia di Napoli sferrò l’attacco ai Di Lauro e agli “scissionisti”. Quello stesso giorno, a Casavatore, finì in manette suo fratello Ciro, mentre – nei mesi successivi – carabinieri e polizia assicureranno alla giustizia sia Nunzio (preso in un villino a Ischitella) che Salvatore (arrestato nella casa paterna il giorno del suo diciottesimo compleanno).
Nel 2006, Vincenzo Di Lauro sarà protagonista di una clamorosa scarcerazione per un errore di comunicazione tra il Tribunale di Napoli e l’ufficio matricole del carcere di Torino, dov’era detenuto. Un foglio, rimasto inspiegabilmente incastrato nel fax, non giungerà a destinazione e gli spalancherà le porte del penitenziario. Sarà nuovamente catturato a Casalnuovo, nel marzo 2007, in uno degli appartamenti a suo tempo controllati dalle forze dell’ordine durante le ricerche di suo padre.
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