Il clan Licciardi ha visto la successione, al comando, di ben tre fratelli, dopo la morte dello storico boss Gennaro: Vincenzo, Maria e Pierino.
Il primo viene arrestato, su mandato dei pm Luigi Gay e Federico Cafiero De Raho, il 30 agosto del 1994 al casello autostradale di Napoli Nord. Il boss è seguito, silenziosamente, da una gazzella dei carabinieri che lo blocca al momento di pagare il pedaggio. Il casellante, infatti, è stato sostituito da un militare che non alza la sbarra, impedendo la fuga del ricercato. È accusato di associazione camorristica, racket e droga.
Scarcerato il 16 giugno 2002 dal carcere di Trani per fine pena, nel luglio 2004 viene coinvolto nella maxi-inchiesta del pm Antimafia Filippo Beatrice, che smantella la rete internazionale dei “magliari” della cosca, assestando un colpo terribile al “polmone finanziario” della famiglia.
Dall’indagine emerge che, nel corso della detenzione, pur se sottoposto ai rigori del 41bis, Vincenzo Licciardi era riuscito a comunicare con i suoi affiliati e, in un caso in particolare, li aveva addirittura avvisati della sua futura liberazione, scrivendo: «Non pensate che io muoio carcerato». In effetti, tornerà in circolazione di lì a poco.
La latitanza del padrino è particolarmente rocambolesca, visto che per tre volte le forze dell’ordine arrivano a sfiorarne la cattura. Ma la fortuna è dalla sua parte, almeno inizialmente. In un’occasione è costretto, addirittura, a scappare attraverso le fogne.
La lunga fuga termina, comunque, quattro anni dopo, il 7 febbraio 2008, in una graziosa villetta a Cuma, sul litorale flegreo: gli agenti della Squadra mobile, diretti da Vittorio Pisani, lo bloccano all’alba. Insieme a lui, ci sono la moglie e due amici, poi arrestati per favoreggiamento. La perquisizione nell’appartamento porterà alla luce alcuni “pizzini”, usati per comunicare con i suoi affiliati durante i frequenti spostamenti da un covo all’altro, e una forte somma di denaro contante.
Vincenzo Licciardi è stato l’ultimo esponente della cosca della Masseria Cardone a finire in galera: prima di lui, il 14 giugno 2001, era toccato alla sorella Maria, fermata dalla polizia, a Melito, mentre si trovava in auto, in compagnia di una coppia. A parlare di lei era stato anche il pentito Carmine Alfieri, che ai giudici l’aveva descritta come una vera e propria “manager” del crimine, cui il defunto fratello Gennaro aveva affidato parte della gestione del malaffare tra Secondigliano e Miano. È indagata per la strage in cui persero la vita la convivente del boss Giuseppe Misso, Assunta Sarno, e Alfonso Galeota, ed è stata recentemente scarcerata.
Il terzo e ultimo fratello, Pierino, viene invece catturato a Praga nel giugno 1999 e processato per l’autobomba in via Cristallini, al rione Sanità, del 2 ottobre 1998. Partendo dalla sua assunzione in un negozio di abbigliamento nella Repubblica Ceca, gli investigatori riescono a ricostruire la fitta trama di interessi e accordi finanziari internazionali della famiglia criminale.
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