lunedì 20 luglio 2009

Il boss al corso per agenti segreti


Che Raffaele Amato, il potentissimo capo degli scissionisti di Secondigliano, fosse affetto da una vera e propria fobia per le intercettazioni, l’hanno raccontato anche alcuni pentiti, qualche mese fa; ma che il capo-camorra avesse partecipato – nell’aprile scorso, a Londra – a un convegno, organizzato da una multinazionale dell’elettronica per presentare ai dirigenti e ai funzionari dei servizi segreti più importanti del mondo gli ultimi ritrovati tecnologici in tema di intercettazioni telefoniche e ambientali, inizia a filtrare solo ora che il padrino è confinato nel carcere di massima sicurezza di Carinola.
La storia inizia nella City, dove Amato entra in contatto con alcune agenzie private specializzate nella vendita di apparecchiature elettroniche di controspionaggio. L’obiettivo del padrino è neutralizzare le indagini a suo carico da parte delle forze dell’ordine e della magistratura italiane, ora che il suo nome compare stabilmente nelle informative di polizia giudiziaria come leader indiscusso di una agguerrita organizzazione criminale, con ramificazioni e affari milionari in gran parte del vecchio continente. Sa, il boss, che un nuovo colpo di fortuna, come quello che gli spalancò le porte del carcere di Madrid nel 2006, a causa di un incredibile errore giudiziario, difficilmente arriverà. Dunque, meglio attrezzarsi di conseguenza.
A Londra incontra un esperto di sistemi di intelligence, di nazionalità inglese, che gli fa da consulente. È lui, a ridosso delle festività di Pasqua, che lo fa invitare a un workshop in uno degli alberghi più chic della capitale, dove saranno presenti gli 007 israeliani, americani e tedeschi.
Nelle sale dell’hotel, vagando tra i padiglioni allestiti per l’esposizione, l’attenzione del padrino – opportunamente consigliato dal suo braccio destro – ricade su un’apparecchiatura da 150mila euro, «capace di annichilire, in un raggio di molte decine di metri, i segnali di telefoni e microspie», spiega un esperto investigatore partenopeo. What’s the problem? I soldi, naturalmente, non mancano. In inglese, si dice cash. Contanti. E l’acquisto è fatto.
Per proteggersi durante la lunga latitanza, Amato ha adottato una serie di precauzioni che hanno complicato, e non di poco, il lavoro degli inquirenti. Era addirittura arrivato ad auto-tassarsi, per importi di svariate centinaia di migliaia di euro, al fine di destinare alla sicurezza della cosca una robusta percentuale del suo straordinario fatturato. Parecchi dei suoi uomini di fiducia, ad esempio, al momento dell’arresto, nascondevano in tasca un pon-detector, simile a un cercapersone, che inizia a vibrare se nelle vicinanze sono accesi dei cellulari.
Qualche tempo dopo, gli investigatori riusciranno ad agganciare Amato proprio a Londra, dove le indagini della Dda di Napoli (condotte dai pm Cannavale e Castaldi) hanno scoperto un conto corrente, nelle disponibilità del padrino, acceso presso la Westminster Bank, intestato alla «Starfield investments ltd». Non lo perderanno più di vista, i poliziotti della Narcotici, fino a Marbella, dove nemmeno la tecnologia di James Bond riuscirà a salvarlo.

IL RACCONTO DEI PENTITI
Il timore delle intercettazioni, da parte del boss Raffaele Amato, è stato al centro di alcune dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Antonio Prestieri e Antonio Pica, che davanti ai magistrati della Dda, Luigi Alberto Cannavale e Stefania Castaldi, hanno raccontato aneddoti che tratteggiano l’immagine di un padrino sì astuto e spregiudicato, capace di mimetizzarsi nelle più importanti capitali europee imparandone la lingua e le usanze, ma pur sempre ostaggio della paura di finire intrappolato nella rete dei controlli elettronici.
Racconta Pica: «Amato ci chiese di prendere tutti i cellulari in possesso dei ragazzi sulle piazze di droga per un totale di duecento, trecento cellulari minimo…». Il padrino scissionista temeva, infatti, che l’uso dei telefonini e l’eccessiva loquacità dei giovani pusher potessero mettere gli inquirenti sulle giuste tracce. Un comportamento del tutto simile a quello di Paolo Di Lauro, che aveva bandito i cellulari dal suo feudo criminale.
Le ferree disposizioni del padrino scissionista riguardavano non solo le prevenzioni da far adottare agli affiliati sull’uso delle utenze telefoniche (di cui erano responsabili gli stessi capi-piazza, chiamati a punire quanti si fossero permessi di trasgredire l’ordine), ma anche le intercettazioni ambientali. È sempre Pica, infatti, a rivelare che due tecnici («ognuno dei quali ricompensato con 1500 euro a operazione») effettuavano periodiche «bonifiche» contro cimici e apparecchiature elettroniche capaci di registrare suoni e immagini nei covi in cui si riunivano affiliati e responsabili dei turni di spaccio.
Antonio Prestieri, invece, ricorda un incontro con il boss, nel corso del quale gli fu mostrato «uno strumento che portava due antenne in grado di segnalare, senza intercettarle, tutte le telefonate effettuate nel raggio di un chilometro», in grado – anch’esso – di individuare microspie che trasmettevano i segnali sulla linea telefonica.
I vertici del gruppo degli «spagnoli» avevano disponibilità, inoltre, di cellulari criptati che rendono particolarmente complesse le attività di spionaggio delle conversazioni (ce ne sono numerosi modelli, in commercio, a prezzi di partenza intorno ai 2mila euro), perché si appoggiano su linee diverse da quelle classiche (Tim, Vodafone, 3, Wind).

IL PROFILO CRIMINALE
La caratura criminale di Raffaele Amato è cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni, tanto che gli investigatori parlano apertamente di lui non solo come capo indiscusso del clan degli scissionisti, ma anche come uno dei più importanti trafficanti d’Europa, in grado – per ricchezza e carisma criminale – di fare da mediatore tra i grossisti colombiani e i narcos delle più importanti piazze del vecchio continente.
Tallonandolo per mesi e mesi, gli uomini della sezione Narcotici (diretta da Lucio Vasaturo) si sono accorti che Raffaele Amato ha cambiato il proprio sistema di business: si è allontanato dal ricco mercato di Secondigliano e ha delegato ai suoi uomini di fiducia (in particolare, alla famiglia Pagano) gli affari legati all’importazione degli stupefacenti in Campania. Il potere accumulato negli ultimi tempi, unito alla straordinaria forza economica del gruppo, lo hanno portato su ben altre rotte, dove impallidisce finanche il milione di euro al giorno guadagnato nel solo lotto «G», a Scampia, attraverso la vendita di migliaia di bustine di cocaina ed eroina.
Amato, ormai, si stava dedicando a coordinare la compravendita intercontinentale di colossali partite di stupefacenti, acquistate in Sudamerica a mille dollari al chilo e cedute a 40mila in Europa, con ricavi che sforano le decine di milioni di euro. In poco meno di cinque anni, l’ex socio d’affari di Ciruzzo ’o milionario si era reso protagonista di un’evoluzione criminale che ha pochi precedenti nel mondo della camorra napoletana e che trova, probabilmente, un termine di paragone soltanto con Umberto Ammaturo. Nel periodo londinese, infatti, sembra che il padrino stesse trattando l’acquisto di una partita di cinquecento chili di cocaina da piazzare, successivamente, ai narcos di Francia, Germania e Inghilterra.

LA FRASE DI SFIDA AI POLIZIOTTI
La prima frase che il boss degli scissionisti, Raffaele Amato, ha pronunciato una volta messo piede in Questura, a Napoli, a conclusione dell’estradizione lampo da Madrid, è stata per i poliziotti che lo hanno braccato per mezz’Europa, togliendogli il respiro: «Avevate fatto bingo, in Spagna, non è vero? Avreste preso pure mio fratello e mio nipote… e invece…». Il padrino si riferiva, evidentemente, al blitz del 16 maggio scorso, quando gli uomini della Squadra mobile, guidata da Vittorio Pisani, dopo un lungo pedinamento, fermarono non solo Raffaele Amato, ma anche suo fratello Elio e suo nipote, Carmine, successivamente rilasciati dall’autorità giudiziaria iberica perché nei loro confronti non era stato ancora emesso l’ordine di cattura che, di lì a settantadue ore, li avrebbe catapultati nel limbo dei latitanti, nell’ambito dell’operazione battezzata «C3», che ha portato all’arresto di 67 affiliati al gruppo degli «spagnoli» e allo smantellamento del maxi-cartello camorristico. Sia Elio che Carmine Amato sono attualmente latitanti e ritenuti, dagli inquirenti, ai vertici della holding del narcotraffico nata dalle ceneri della faida di Secondigliano contro l’esercito di Ciruzzo ’o milionario.
(Pubblicato sul quotidiano "Il Roma")

mercoledì 8 luglio 2009

L'estradizione di Raffaele Amato


L’operazione che ha portato alla cattura e alla successiva estradizione di Raffaele Amato dalla Spagna ha pochi precedenti nella storia della polizia giudiziaria napoletana: i mastini che hanno inseguito per centinaia di chilometri il capo degli «spagnoli» hanno fatto un lavoro degno della Dea americana, le squadre speciali antidroga del governo federale degli Stati Uniti. Quasi mai era capitato che una sezione Narcotici gestisse le indagini per l’arresto di un pericoloso latitante, riuscendo a raccogliere prove abbastanza solide per spedirlo per un bel po’ di decenni in galera. Gli uomini della Squadra mobile partenopea ci sono riusciti, anche grazie all’indubbio genio investigativo del loro capo, Vittorio Pisani, il quale - nel giro di poco più di dodici mesi - è stato in grado di stanare personaggi del calibro di Edoardo Contini e Vincenzo Licciardi, inseriti nell’elenco dei trenta latitanti più pericolosi d’Italia.
Ieri, ad accogliere il padrino all’aeroporto di Capodichino – proveniente da Madrid – c’erano trenta poliziotti con giubbotti antiproiettile e armi spianate. La corsa delle quattro volanti verso la Questura è stata sorvegliata da un elicottero che ha monitorato, minuto dopo minuto, il percorso.
«Il rischio», rivela un poliziotto della Narcotici, «era altissimo. Abbiamo temuto che il convoglio potesse essere attaccato; noi, comunque, saremmo stati pronti a ogni evenienza. Per questo, la procedura di estradizione è stata velocissima e tenuta in gran segreto. Nemmeno i suoi familiari sono stati informati del trasferimento». Gli agenti dell’Interpol hanno prelevato Raffaele Amato dal penitenziario spagnolo e lo hanno trasferito in aeroporto, dove è stato imbarcato sul primo volo disponibile. A Napoli è stato preso in consegna dal capo della polizia giudiziaria di frontiera, Vincenzo Sessa, e dagli ispettori Carlomagno e Trentini, i quali – a loro volta – lo hanno consegnato agli uomini della Narcotici (guidata da Lucio Vasaturo) per la notifica delle ordinanze di custodia cautelare in carcere. Provvedimenti giudiziari che ripercorrono l’escalation criminale dell’ex braccio destro del boss Paolo Di Lauro, messo alle strette dai poliziotti della Dea napoletana coordinati dall’ispettore Sergio Cicerone.
(Pubblicato sul quotidiano "Il Roma" - luglio 2009)