martedì 10 novembre 2009

La storia del clan Giuliano


Ci sono ben poche famiglie camorristiche che possono affermare di «rappresentare» non solo uno spazio – il proprio rione, il proprio quartiere, il proprio Comune – ma anche un tempo.
Lo spazio del clan Giuliano è Forcella, senza dubbio. Il tempo del clan Giuliano, invece, è il ventennio che la città di Napoli ha vissuto tra gli entusiasmi degli scudetti di Diego Armando Maradona, il tracollo di grandi fortune finanziarie, lo scandalo della Tangentopoli partenopea e la stagione dei sindaci e il Rinascimento bassoliniano.
Venti anni durante i quali la famiglia si è velocemente trasformata in cosca, evolvendosi successivamente in una vera e propria multinazionale della malavita grazie a una straordinaria capacità di adattamento e al consenso sociale che è riuscita ad assicurarsi attraverso una mirata strategia «populista».
Ora, è una realtà delinquenziale di second’ordine, ma mantiene intatti carisma e ascendente criminali, tanto che alcune informative delle forze dell’ordine hanno parlato, nel recente passato, di «nuovo clan Giuliano», per sottolineare la successione tra le vecchie leve e i «rampolli», nipoti e pronipoti, che hanno cercato se non di tornare all’antica potenza, almeno di ritagliarsi un proprio spazio.
Non sempre ci sono riusciti. Il fuoco dei nemici e le inchieste della magistratura ne arginato le mire espansionistiche, interrompendo – di fatto – la continuazione dell’unica vera dinastia camorristica partenopea.
Le indagini raccontano di una organizzazione criminale strutturata sul modello di un moderno consiglio di amministrazione: una testa pensante, Luigi Giuliano ’o re, e tanti bracci operativi, subordinati al capo soltanto per le decisioni di carattere strategico, e dotati di autonomo potere decisionale. Tanti bracci quanti erano i fratelli: Carmine, Guglielmo, Salvatore, Raffaele e Erminia, soprannominata Celeste per il colore degli occhi. Tutti coinvolti e condannati in svariati processi e diventati, alcuni, importanti collaboratori di giustizia.
Nell’elenco, ci sarebbe anche Nunzio, il fratello maggiore: ma le decisioni di abbandonare una vita da bandito e di dissociarsi dal mondo dell’illegalità che lo aveva visto giovane protagonista, dopo aver assistito impotente alla morte per overdose suo figlio, saranno tra le cause che porteranno al suo omicidio.
La leadership dei Giuliano, nel centro storico di Napoli, nasce al tempo della guerra contro le armate cutoliane. È lo stesso Luigi Giuliano a raccontare di aver partecipato alla creazione del nucleo fondante della «Onorata fratellanza», il maxi-cartello che si oppone alla Nco del padrino di Ottaviano, a cui si aggregano – via via – tutte le cosche della città e alcune della provincia, fino a comprendere personaggi del calibro di Carmine Alfieri, Antonio Bardellino, Pasquale Galasso, Mario Fabbrocino, Francesco Mallardo, Valentino Gionta e Michele D’Alessandro.
Negli anni Ottanta, gli affari del clan Giuliano sono molteplici, come molteplici sono gli investimenti che i fratelli riescono a realizzare spesso al di fuori dei confini cittadini e regionali: ogni giorno, vengono incassate centinaia di milioni di lire con contrabbando di sigarette, racket, droga, usura, prostituzione e lotto clandestino. Malgrado i sequestri e le confische, il tesoro del clan non è mai stato trovato.
I Giuliano sono tra i primi a intuire le potenzialità economiche del gioco d’azzardo e a sfruttarle come fonte autonoma di guadagno: nel blitz del 28 marzo del 1992, ad esempio, le forze dell’ordine scoprono nel cuore di Forcella un casinò abusivo, costituito da dodici locali su tre piani, con salette riservate per i giocatori più facoltosi e con annesso servizio bar e soffici divani di pelle su cui riposare, tra una mano di chemin de fer e di poker.
Nel club, che incassava ogni sera una settantina di milioni, furono trovati anche alcuni biglietti prestampati che i vertici della cosca utilizzavano come sistema di promozione e di reclutamento. Una sorta di volantinaggio per aspiranti camorristi.
Contrari per natura all’ombra e all’oscurità nelle quali crescono i grandi criminali, i Giuliano hanno cercato le luci della ribalta e ottenuto l’attenzione dei mezzi di informazione. E non soltanto locali.
Addirittura, in occasione del provvedimento di sequestro del mega-attico di via Giudecca Vecchia – un appartamento lussuosissimo, a cui si accedeva con ascensore privato, ora definitivamente confiscato – la moglie di Luigi Giuliano, Carmela Marzano, improvvisò una conferenza stampa, davanti al Tribunale, per giurare che la sua famiglia, perseguitata dai magistrati, sarebbe andata via da Napoli. Ciò, naturalmente, non accadde ma servì, ugualmente, a guadagnare un po’ di spazio e un po’ di titoli sui giornali, nell’interesse – evidente – di dimostrare agli affiliati e agli alleati che l’organizzazione aveva ancora il potere di conquistare gli onori della cronaca.
Un principio sembra aver orientato, infatti, le tattiche e gli assestamenti della famiglia Giuliano. Un principio così sintetizzabile: così come non esistono amicizie infinite, allo stesso modo non esistono infinite rivalità.
Di volta in volta, e sotto la regia dei fratelli succedutisi a Loigino al comando, sono stati stretti accordi di non belligeranza con le bande dei Quartieri Spagnoli, di Secondigliano, del Vasto e di San Giovanni a Teduccio; salvo poi rimescolare le carte, autorizzando un omicidio, o provocando nuove faide.
L’esempio più emblematico, in questo senso, è il conflitto che nasce con Giuseppe Misso, amico d’infanzia di Luigi Giuliano, che diventa – a ridosso degli anni Novanta – uno dei rivali più temuti dalla cosca di Forcella.
Con il progressivo indebolimento della «dirigenza» del clan e le lunghe detenzioni che hanno fatto maturare in Guglielmo, Salvatore, Raffaele e Luigi la decisione di collaborare con la giustizia, il clan è andato via via smembrandosi e indebolendosi, fino a diventare oggetto di conquista da parte di altre cosche più giovani e agguerrite.
Di clan Giuliano non si parla più, oggi: resta in libertà qualche lontano parente dei grandi capi degli anni Novanta, ma la struttura associativa è stata polverizzata dall’incessante lavoro della magistratura inquirente partenopea, che ha avuto nel pm Giuseppe Narducci il più profondo conoscitore della storia e delle dinamiche criminali del centro storico e della famiglia Giuliano, in particolare. E non è un caso che Narducci, oggi all’Antiterrorismo, abbia gestito i pentimenti di Loigino ’o re e di Giuseppe Misso, tra i pochi padrini che possono raccontare la vera storia della città di Napoli negli ultimi vent’anni.

9 commenti:

  1. NONOSTANTE TUTTO I GIULIANO SONO SEMPRE I PIU' FORTI... SONO BELLI PROFUMATI SHARMANTI CARISMATICI HANNO SEMPRE AVUTO TUTTE LE QUALITA' PER ESSERE VERI E PROPRI BOSS COME LORO NON NE ESISTERANNO MAI PIU' SONO GLI UNICI ESEMPLARI

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  2. Ho visto il 29 Set 2011 il Programma BLU NOTTE su RAI 3,che ha raccontato la storia del clan dei casalesi.
    Alla fine del programma il collaboratore di giustizia De Simone ex membro del clan ha detto:
    Dico alle persone che vivono in quelle zone di non guardare a queste persone con ammirazione. Sono dei cani come io ero un cane. Non hanno coraggio :non hanno rispetto di nessuno,nemmeno della loro famiglia. Hanno il rispetto solo con la violenza .

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  3. tutti temevano i boss giuliano di forcella e in qualunque parte dove andavi tremavano solo a nominare il nome di giuliano o forcella sia i potenti boss giuliano sia il quartiere forcella saranno per sempre grandi e unici i giuliano sono belli potenti freschi e tosti come lo sono tutti i forcellesi

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    1. questa mentalità è quella che rovina la Campania

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  4. i giuliano saranno sempre i piu forti e forcella e grande in eterno

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  5. ammiro molto la decisione dei giuliano nel collaborare,ma non erano di certo i piu' freschi e tosti di forcella.

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  6. certo ke nn lo erano ci sno clan cm i licciardi i sarno i fabbrocino i di lauro i contini e ultimi ma primi fra tutti i casalesi

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  7. secondo me.non state bene con la testa.

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