Salvatore D’Addario è un poliziotto e si trova, insieme alla moglie e ai due figli, in un negozio di Porta Nolana, quando si accorge di una sparatoria in strada tra i killer del clan Mariano e i sicari del gruppo ribelle, capeggiato da Antonio Ranieri e Salvatore Cardillo. È il 30 marzo del 1991.
L’agente, che in quel momento si trova fuori servizio, mette al sicuro i familiari e prova a fermare tre uomini armati di pistola, che prima gli sparano al braccio e alla gamba e poi, per coprirsi la fuga, lo investono con un furgone, schiacciandolo contro un palo dell’Enel. Malgrado le ferite, D’Addario riesce a sparare a sua volta e a rallentare la corsa di uno degli assassini, permettendone la cattura ad opera di una volante poco distante. Trasportato d’urgenza in ospedale, l’uomo subisce anche l’amputazione della coscia, che non serve però a salvargli la vita. Salvatore D’Addario si spegne dopo due giorni di agonia al “Loreto Mare”. Il suo è uno dei nomi delle tante vittime innocenti della folle furia omicida che vede protagonisti i camorristi dei Quartieri Spagnoli, all’indomani della strage del Venerdì Santo, la “dimostrazione di forza” che il boss Ciro Mariano voleva impartire ai suoi ex affiliati per riaffermare la propria leadership criminale e neutralizzare qualsiasi tentativo di scissione del clan.
Catturato un anno dopo i fatti, uno dei killer chiederà scusa alla vedova del poliziotto eroe, Maria Pia Borrelli, attraverso una lettera pubblicata dal quotidiano “Il Roma”, scrivendo, tra l’altro: «Sarebbe troppo facile chiedere a lei, ai suoi figli e a tutti il perdono. Mi sento profondamente addolorato, questo mio gesto di pentimento mi auguro che potrà renderle giustizia unitamente ai suoi cari facendo sì che tutti i colpevoli di questo insano gesto scontino la giusta pena».
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