La criminalità organizzata napoletana del secondo dopoguerra è una criminalità di «ritorno»: nasce e si sviluppa, cioè, con i mafiosi italo-americani allontanati dagli Stati Uniti perché «indesiderati»: ne sono un esempio più che emblematico Lucky Luciano, che collaborò con gli Alleati per rendere più agevole lo sbarco in Sicilia dopo aver trascorso dieci anni in carcere negli Usa, e Vito Genovese, originario di Nola, che fu assegnato alla Quinta Armata in qualità di interprete.
In realtà, entrambi, più che lavorare per la vittoria della libertà sulle «forze oscure» di Hitler, utilizzano i loro soggiorni in Campania, e a Napoli in particolare, per avviare traffici illegali e allacciare rapporti con i sopravvissuti della vecchia e malridotta «Onorata società».
LA BORSA NERA E L’ASCESA DI ANTONIO SPAVONE – In un contesto socio-economico di eccezionale degrado e povertà, si sviluppa la prima forma «strutturata» di attività criminale: la borsa nera. Un mercato parallelo a quello ufficiale in cui è possibile acquistare prodotti di ogni tipo (soprattutto generi alimentari di prima necessità e sigarette) venduti clandestinamente dalle truppe americane di stanza nel Golfo.
È con la borsa nera che iniziano le grandi fortune di alcune «famiglie», che si rafforzeranno nei trenta-quarant’anni successivi fino a diventare vere e proprie colonne portanti del potere camorristico partenopeo, come i Giuliano di Forcella e i Mallardo di Giugliano.
Il primo personaggio di spessore che emerge, all’epoca, è Antonio Spavone, conosciuto come ’o malommo in onore del fratello, Carmine, vero detentore del soprannome, ucciso in uno scontro a fuoco e da lui vendicato con un omicidio commesso nel corso di un banchetto nuziale.
Le cronache hanno consegnato alla storia l’immagine di un malavitoso a metà strada tra il «guappo» dell’Ottocento e il padrino imprenditore degli anni Ottanta, intrappolato in un limbo in cui ai soldi e alle fortune economiche ancora si preferivano l’onore e il prestigio personali.
Spavone è tra i primi a investire nel nuovo business del contrabbando di sigarette, una vera e propria industria illegale che funziona come un ammortizzatore sociale e offre una speranza di vita e di guadagno a decine di migliaia di disoccupati. Ad aumentare il mito di Spavone concorre anche l’allora capo dello Stato, Giuseppe Saragat, che gli concede la grazia per aver salvato, durante l’alluvione di Firenze, tre guardie penitenziarie e la figlia del direttore del carcere in cui era recluso.
LA CAMORRA RURALE – La criminalità locale, però, partecipa alla spartizione degli affari legati al contrabbando soltanto in minima parte, perché il vero potere e la vera ricchezza sono detenuti dai Marsigliesi, il cui capo, Pascal Molinelli, ha un soprannome che i napoletani faticano a capire: monsieur Richard.
Le acque in cui si specchiano il Vesuvio e il monte Somma sono solcate, a ogni ora della notte e spesso anche di giorno, da decine di scafi blu che caricano le casse di sigarette fuorilegge per custodirle nei depositi invisibili di Santa Lucia, o di Mergellina. Ma è in provincia che avviene la prima, vera trasformazione della malavita organizzata. La camorra rurale, quella dei Simonetti di Castellammare di Stabia, dei Maisto di Giugliano, degli Esposito di Pomigliano d’Arco, conquista sempre più spazio nella gestione dei mercati ortofrutticoli. Nasce così il ruolo di «presidente dei prezzi», una sorta di broker che impone a grossisti e dettaglianti i prezzi di compravendita del giorno. Un business poco appariscente, ma che assicura guadagni stratosferici.
Si assiste, dunque, a un fenomeno di «sdoppiamento» della nascente camorra: in città, le bande criminali vengono utilizzate come bassa manovalanza dai Marsigliesi, in provincia – invece – iniziano ad aggregarsi, attorno a storici nuclei familiari, le prime cosche di stampo camorristico.
LE COLONIE SICILIANE IN CAMPANIA – A metà tra anni Sessanta e Settanta, si assite alla «mafizzazione» della criminalità organizzata napoletana: gli uomini d’onore, inviati in soggiorno obbligato a Napoli dall’autorità giudiziaria, intuiscono le potenzialità legate al contrabbando di sigarette e al nascente mercato del traffico di stupefacenti e si legano ai malavitosi più spregiudicati e intraprendenti: Michele Zaza, Antonio Bardellino, Ciro Mazzarella, Lorenzo e Angelo Nuvoletta. Nasce così l’alleanza destinata a sovvertire lo scacchiere criminale in città, attraverso una guerra sporca – fatta non solo di omicidi, ma di spiate e tradimenti – che vede soccombere i Marsigliesi di monsieur Richard. Napoli e la Campania diventano un feudo di Cosa nostra siciliana. A Marano, Qualiano, Giugliano, a Fuorigrotta, Santa Lucia, Posillipo vengono a trattare affari e conquistare un po’ di riposo personaggi del calibro di Totò Riina, Bernardo Brusca, Masino Buscetta, Nunzio La Mattina, Michele Greco, Stefano Bontade. Insomma, il gotha dell’aristocrazia mafiosa e l’ala militare dei Corleonesi.
Il proconsole in città è Gerlando Alberti, collegato al mafioso Alfredo Bono e a Masino Spadaro. Sotto la sua protezione, cresce il «re del contrabbando», Michele Zaza, promosso al rango di uomo d’onore dalla commissione provinciale di Palermo di Cosa nostra.
Grazie alla sua visione imprenditoriale, il traffico di «bionde» dal porto di Napoli raggiunge una perfetta organizzazione. Zaza guadagna decine di miliardi all’anno e non nasconde il suo potere. Rilascia interviste a quotidiani e tv locali e fa sfoggio delle sue ville a Beverly Hills e a Posillipo, in via Petrarca.
La sua morte, per problemi cardiaci, e l’agguato ad Antonio Spavone (un colpo di lupara gli devasterà la faccia, ma riuscirà a sopravvivere ancora per parecchi anni per poi morire di vecchiaia nel suo letto) chiudono la stagione della camorra degli anni Settanta. Altri personaggi si affacciano sulla scena, come i Casalesi di Antonio Bardellino e i D’Alessandro di Castellammare di Stabia, mentre, sullo sfondo, si staglia – inquietante – l’ombra di Raffaele Cutolo.
mercoledì 4 novembre 2009
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Egregio Dott. Di Meo,
RispondiEliminasono un'orfana delle vittime dello Stato-Camorra.
Le chiedo come mai si scrivono solo bei libri sui cattivi della Camorra e non sul mal funzionamento dello Stato degli '80, che è stato il maggior affiliato della Camorra.
Cordiali saluti
Gent.ma sig.ra,
RispondiEliminaqualche libro, saggi, soprattutto, c'è. Forse non sono pubblicizzati abbastanza. E questo, concordo con lei, è un problema
Con stima
sdm
X ME SONO DEI MITI LI AMO E SE AVREI LA POSSIBILITA DI ENTRARCI NELLA CASMORRA DI NAPOLI CI ENTREREI VOLENTIERI CM VORREI ESSERE UNA DI VOI
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