mercoledì 4 novembre 2009

Racket per pagare gli stipendi ai detenuti

Sono 15 le ordinanze di custodia cautelare, di cui una notificata in carcere, eseguite da Dia e carabinieri del comando provinciale di Napoli, su usura ed estorsioni nel Napoletano. Tra gli arrestati il capo clan Francesco Rea.
Si tratta di un giro di affari illeciti da 200.000 euro mensili. Nel corso delle perquisizioni sono stati sequestrati tre Rolex d'oro, un'auto blindata usata dal capo clan e diverse decine di migliaia di euro, frutto delle estorsioni e dell'usura.
I soldi che il clan Rea-Veneruso raccoglieva estorcendo soprattutto imprenditori edili e commercianti tra Volla, Sant'Anastasia e Casalnuovo, nel Napoletano, servivano per pagare il silenzio dei detenuti affiliati affinché non collaborassero con la giustizia. In una intercettazione telefonica il boss del clan, Francesco Rea detto 'o pagliesco', che questa mattina è riuscito a sottrarsi all'arresto, dice alla cassiera del clan, Carla Argenziano, a sua volta sfuggita alla cattura: "Prima si pagano i detenuti poi quelli fuori".
La cassa dell'organizzazione prevedeva una rigida ripartizione dei fondi, con mensilità che andavano da 1.500 a 5.000 euro a seconda dell'importanza dell'affiliato. Ai familiari dei detenuti in carceri lontane venivano pagate anche le spese per il viaggio. Gli investigatori della Dia suppongono che il denaro venisse in parte reinvestito anche nel traffico di stupefacenti e nell'attività usuraia. Una caratteristica dell'attività estorsiva era, tra l'altro, la mancanza di periodicità delle richieste che, normalmente, in tutta la provincia di Napoli vengono pretese a Natale, Pasqua e Ferragosto. In questo caso, invece, il clan faceva visita ai propri 'clienti' ogni qual volta vi era un'esigenza di cassa. Le richieste, a volte incessanti, hanno portato gli imprenditori alla completa sottomissione al clan e, in alcuni casi, alla chiusura delle aziende.
L'operazione 'Venere Rossa' ha portato a una serie di perquisizioni anche nel Nord Italia, in particolare nella provincia di Cesena, dove risiedono alcuni degli indagati. Sono stati notificati, inoltre, numerosi avvisi di garanzia a carico di altri affiliati e fiancheggiatori non colpiti dalla misura cautelare in carcere.

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