domenica 9 maggio 2010

E la camorra va nel pallone

L’ultima mossa è stata il sequestro della società: per i pm anticamorra di Napoli, il «Giugliano calcio» è controllato dal potente clan Mallardo, che lo utilizza come «schermo» per la raccolta del pizzo e per accreditarsi, agli occhi della cittadinanza e del popolo dei tifosi, come «sistema di potere» alternativo a quello legale. Il club, precipitato nel giro di tre anni dalla serie C2 al girone A del campionato regionale di «Eccellenza», è stato tenuto in vita con i soldi delle estorsioni a imprenditori e commercianti dell’hinterland nord di Napoli su decisione del boss Giuseppe Dell’Aquila (inserito nell’elenco dei cento latitanti più pericolosi d’Italia), come racconta il pentito Gaetano Vassallo, ex «ministro dell’ambiente» dei Casalesi: «La raccolta della pubblicità veniva effettuata da una ditta, controllata direttamente da una persona di fiducia di Dell’Aquila, che “faceva il giro” di tutti i commercianti della zona imponendo agli stessi di dare un contributo per la sponsorizzazione della squadra di calcio». Per evitare le indagini, aggiunge il collaboratore di giustizia, l’agente pubblicitario del padrino rilasciava addirittura la fattura, «deducibile ai fini fiscali, in modo da limitare il danno all’azienda, ma anche e soprattutto per regolarizzare formalmente l’uscita di danaro dalla società e non creare un “nero”». Le tessere del mosaico che hanno reso più chiaro lo scenario di collusione sono state, però, le conversazioni intercettate tra il fratello di Dell’Aquila e il presidente del «Giugliano calcio», Filippo Di Nardo, indagato con l’accusa di essere il prestanome della cosca, e le telefonate allarmate delle vittime del racket che ricordavano ai kapò della malavita locale di «essere in regola con le rate».
«È la ricerca del consenso sociale che spinge i gruppi criminali a investire nel calcio», dichiara a Panorama il procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico, coordinatore della Dda di Napoli. «Il controllo di uno strumento così potente serve ad affermare e consolidare la propria leadership sul territorio e a dimostrarsi superiori ai rivali». L’intreccio tra pallone e camorra è terreno ricco di sorprese per gli investigatori: qualche settimana fa, è stato scoperto nel covo di un latitante una foto ricordo tra un pericoloso narcotrafficante di Secondigliano e l’ignaro centrocampista del Napoli, Marek Hamsik. Uno scatto che ricorda quello celeberrimo tra Diego Armando Maradona e i fratelli Giuliano di Forcella, in una vasca da bagno a forma di conchiglia, e che serve ad alimentare il «culto della personalità» del boss.
I casi di infiltrazione camorristica nello sport sono tutt’altro che rari, nella storia giudiziaria napoletana: la «Caivanese calcio», il «Pomigliano calcio» e la «Virtus Baia», che vinse il campionato lo stesso anno in cui fu rilevata dal «capobastone» di Bacoli, Rosario Pariante. E ancora: l’«Albanova», la squadra di calcio di Casal di Principe di cui era tifosissimo Walter Schiavone, promossa fino alla serie C2, e la «Mondragonese», alla quale il clan dei Casalesi voleva a tutti i costi regalare l’ingaggio del brasiliano Toninho Cerezo. Soprattutto nelle serie minori, il livello di contaminazione è allarmante, anche a causa dei soldi che girano attorno al calcioscommesse, su cui sono tuttora aperti più filoni di indagine.
Le ultime inchieste rivelano anche altro, però: e cioè che la camorra, quando non riesce a contaminare la struttura societaria di una squadra di calcio, ripiega sul tifo organizzato. Lo spiega, in questo verbale inedito, il pentito Maurizio Prestieri: «Il tifo organizzato è sempre espressione della criminalità organizzata e ciò è testimoniato dalla indicazione degli striscioni». Basta dare uno sguardo agli spalti, per accorgersene: «Lo striscione “Masseria Cardone” è relativo al clan Licciardi, lo striscione “Teste matte” è relativo ad un clan dei Quartieri Spagnoli. I “fedayn” sono stati sempre i più aggressivi e rissosi. Il gruppo “Mastiff” mi risulta essere affiliato ai Licciardi e detto dato è confermato dal simbolo di questo gruppo, la testa di un cane, simbolo uguale a quello che hanno tatuato quasi tutti i giovani della Masseria Cardone».
Dichiarazioni che concordano con quelle di un altro collaboratore di giustizia, Giuseppe Misso jr che ha parlato della divisione dello stadio San Paolo di Napoli in zona di competenza criminale: «Sulla curva A esiste una vera e propria legge di camorra, tant’è che ricordo a un certo punto mio zio, Giuseppe Missi (uno dei principali boss della camorra napoletana, ndr), impose che il gruppo della Masseria Cardone dovesse uscire dalla curva A per problemi che si erano verificati tra i Misso e i Liccardi. Ed infatti la Masseria Cardone si dovette spostare nei distinti», salvo poi accasarsi in curva B, dopo aver ottenuto l’assenso dei gruppi che già occupavano quel settore.
(Pubblicato su "Panorama", 13 maggio 2010)