Raccontare la storia del clan Giuliano significa analizzare i differenti modi con cui i sei fratelli hanno, di volta in volta, gestito il clan. Modi differenti per personalità molto diverse tra loro.
Il capo e leader indiscusso della cosca è sempre stato Luigi Giuliano, ’o re. Carismatico, amante del lusso e della propria immagine, viene descritto magistralmente dal boss pentito, Giuseppe Misso, nel suo libro «I leoni di marmo», vestito di tutto punto, seduto a un pianoforte a coda, concentrato a indovinare le note della melodia del film «Il Padrino» di Francis Ford Coppola.
La scelta di iniziare a collaborare con la giustizia passa anche attraverso una conversione «spirituale», che lo porta a scrivere una lettera in cui si dice pronto a pentirsi, ma soltanto davanti al Padreterno. Nel settembre del 2002, il re di Forcella decide di ufficializzare il suo nuovo status in aula, motivandolo con il desiderio di «cambiare vita». Da quel giorno, Luigi Giuliano rivela ai magistrati dell’Antimafia i segreti inconfessabili e i patti oscuri della grande criminalità organizzata, contribuendo a offrire uno squarcio di luce finanche sui misteri più impenetrabili della storia d’Italia, come l’omicidio di Roberto Calvi e gli affari del Banco Ambrosiano, e raccontando di contatti tra politici e camorristi.
Prima di lui, avevano iniziato a parlare con i magistrati i fratelli Guglielmo e Raffaele (per un breve periodo, anche Carmine ’o lione aveva deciso di pentirsi, salvo poi ritrattare), riferendo – in particolare – gli affari legati al totonero e al lotto clandestino («incassavamo, dividendo i profitti a metà con Secondigliano, fino a quattro miliardi alla settimana nei primi anni Ottanta», aveva dichiarato Guglielmo Giuliano) e i rapporti con le forze dell’ordine. Entrambi rivelarono, inoltre, di presunte «combine» tra la camorra e alcune squadre di calcio, di serie A, per truccare le partite e incassare i soldi delle scommesse clandestine.
In tempi più recenti, Salvatore Giuliano, arrestato in provincia di Avellino travestito da prete, si è invece soffermato sulla descrizione delle ultime dinamiche criminali che hanno visto protagonisti i clan Mazzarella, Misso, Sarno e Di Lauro. «È un mostro a quattro teste che comanda Napoli», ha dichiarato nel corso di un’udienza.
L’ultimo boss in libertà (escludendo Carmine Giuliano, morto all’ospedale Cardarelli, dopo una lunga malattia il 2 luglio 2004) è stata la sorella Erminia Celeste, amante dei locali notturni e delle frequentazioni da jet-set. Quando venne arrestata dai carabinieri, chiese di farsi dare un ritocco ai capelli da un parrucchiere, per non sfigurare davanti ai fotografi e ai giornalisti che l’attendevano all’uscita dal covo, nel cuore di Forcella.
La lunga carrellata dei capi storici della cosca del centro storica termina con quello che, in realtà, è stato il primo, autentico padrino della casbah: Pio Vittorio Giuliano, morto nel settembre scorso all’età di ottantuno anni. Storico contrabbandiere di sigarette, aveva attraversato la storia della sua famiglia in disparte, senza mai cercare nuovi spazi in territori e tempi che, di sicuri, non gli appartenevano più. Aveva iniziato con la «borsa nera» negli anni dell’immediato dopoguerra, riuscendo ad accumulare una ingente fortuna. Un guappo con il fiuto dell’imprenditore, più che un camorrista in senso moderno.
L’ultimo dolore l’aveva provato nel marzo del 2005, quando una coppia di sicari intercettò il motorino sul quale viaggiava Nunzio Giuliano, il figlio ormai allontanatosi dalla puzza di zolfo di Forcella e dalle banconote macchiate di sangue, e lo uccise a colpi di fucile mitragliatore.
Un omicidio per il quale non ci sono ancora colpevoli.
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