martedì 10 novembre 2009

La morte di Nunzio Giuliano


Aver assistito alla morte del figlio di diciassette anni appena, Pio Vittorio jr, lo aveva profondamente cambiato, tanto che il Tribunale il 26 gennaio 1988, poche settimane dopo la tragedia, aveva sospeso il confino in un Comune della provincia di Verona nei suoi confronti, in quanto aveva «manifestato sinceri segni di dissociazione dalla camorra».
Da quel giorno, la vita di Nunzio Giuliano era cambiata totalmente ed era stata tutta incentrata sull’educazione dei valori della legalità ai più giovani. Aveva iniziato a partecipare a dibattiti pubblici e mosso le prime, pesanti accuse al mondo della criminalità organizzata che «distrugge le vite di molti, per arricchire soltanto quelle di pochi».
Abbandonate le attività illecite, si dava da fare nel mondo del volontariato e come gestore prima di un garage e poi di un ristorante, nella zona della riviera di Chiaia.
Prima di essere ammazzato, aveva voluto lasciare testimonianza della propria conversione e delle proprie sofferenze in una lettera: «La denuncia e la ribellione dei cittadini di Forcella contro i clan e i boss non rappresentano soltanto un gesto di coraggio, ma un atto d’amore verso la vita, se stessi, gli altri, i propri figli, la propria famiglia, la libertà, la civiltà, il benessere e verso Dio».
Nunzio Giuliano paga con la vita il coraggio delle proprie convinzioni: a un tornante di via Tasso, a Posillipo, mentre si trova in sella allo scooter, in compagnia della compagna, viene intercettato da un commando di killer e inseguito e ammazzato a colpi di pistola. Ancora oggi, l’ipotesi più accreditata è la vendetta per i pentimenti dei fratelli e di Loigino, in particolare.
Una settimana prima dell’agguato, aveva pubblicamente dichiarato di temere per la propria vita.

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