venerdì 1 gennaio 2010

Il profilo criminale di Raffaele Amato

Prima importatore di tonnellate di hashish dalla Spagna in Italia, poi mediatore con i cartelli sudamericani per l’acquisto di colossali partite di cocaina e – infine – capo assoluto di una holding criminale con sede a Secondigliano e ramificazioni in tutt’Italia e all’estero. Una struttura tentacolare, che ha monopolizzato il mercato della vendita della droga al dettaglio nella provincia di Napoli.
I pentiti che ne hanno parlato, lo descrivono come un boss carismatico, capace di mediare, all’occorrenza, e dalla grande esperienza criminale. Di lui si occupano, per la prima volta, i giornali il 27 gennaio 2001, quando i poliziotti lo arrestano in un albergo a Casandrino, dove – secondo gli investigatori – avrebbe dovuto incontrare trafficanti olandesi e tedeschi, per l’acquisto di sei chili di cocaina proveniente dall’Olanda, nascosti in un ruotino di scorta. Lo stupefacente aveva un valore di ottocento milioni di lire. Il Tribunale del riesame, però, lo scarcera dopo una quindicina di giorni, perché non c’era la prova che Amato fosse in contatto con loro, al di là di ogni ragionevole dubbio. Nei tre anni successivi, il padrino consolida la sua rete internazionale di contatti, acquisendo un sempre maggiore potere all’interno della cosca di Paolo Di Lauro, seriamente danneggiata dall’inchiesta della procura antimafia del settembre 2002, che costringe Ciruzzo ’o milionario alla fuga. Un potere che, evidentemente, infastidisce non poco il figlio del boss, Cosimo Di Lauro, che lo accusa di aver intascato il provento della compravendita di una partita di cocaina, del valore di tre milioni di euro, obbligandolo ad espatriare e a rifugiarsi in Spagna, da dove organizza e coordina la faida contro i suoi ex soci in affari. Inizia così la stagione del terrore e delle stragi, a Secondigliano.
A gennaio viene catturato Cosimo Di Lauro e quattro settimane dopo, tocca al capo degli “spagnoli”. Lo intercettano i carabinieri e la Guardia civil, il 27 febbraio del 2005, davanti all’entrata del casinò municipale di Barcellona dopo aver perso 6 mila euro al tavolo di black jack. Era in compagnia di cinque guardaspalle. In galera, però, Amato non resta molto. Scarcerato per un vizio di forma, a un anno esatto dalla data di arresto, si dà nuovamente alla macchia, continuando a gestire una organizzazione che conta centinaia di uomini stipendiati: spacciatori, vedette, killer, fiancheggiatori, custodi e trafficanti.
Coinvolto nell’inchiesta “C3” e destinatario di un nuovo ordine di carcerazione, ’o Lello (com’è conosciuto all’anagrafe di camorra) viene segnalato in Francia, Inghilterra e Giappone. A chi gli dà la caccia, sembra imprendibile. Alla fine, il 17 maggio 2009, i poliziotti della Squadra mobile di Napoli lo bloccano dopo un inseguimento durato cinquanta chilometri, a Malaga. L’estradizione del padrino, qualche tempo dopo, impegnerà trenta agenti di scorta e un elicottero di appoggio. C’era il pericolo di un attentato nei suoi confronti.
I magistrati della Dda di Napoli gli contestano anche alcuni omicidi, risalenti a quindici anni prima, che si inserirebbero nella faida di Mugnano, che vide contrapposti il gruppo di Antonio Ruocco e il clan di Ciruzzo ’o milionario, cui – a quel tempo – Amato apparteneva.
Il potere criminale del padrino ne fa uno dei camorristi più pericolosi in Italia e in Europa, come sottolinea il decreto di applicazione del 41bis firmato dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano.

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