venerdì 1 gennaio 2010

Il boss Lo Russo regista occulto delle faide

Da almeno trent’anni è tra i protagonisti del crimine organizzato napoletano, Salvatore Lo Russo. «Regista occulto» e «uomo ombra», per usare le parole degli investigatori, degli affari illeciti e dei grandi delitti della periferia nord, negli anni Ottanta milita – insieme ai Giuliano, ai Mallardo e ai Contini – nelle fila della “Nuova famiglia”. Tempi di lotta, tempi di sangue, quelli contro i cutoliani, soprattutto a Secondigliano, dove si consuma la battaglia tra le batterie di fuoco rivali che lascia sull’asfalto centinaia di morti ammazzati.
Sterminati i nemici e sciolto il maxi-cartello, Lo Russo s’insedia – insieme ai suoi fratelli – al rione San Gaetano, a Miano, da dove tesse una fitta rete di rapporti diplomatici e di affari con le nuove cosche cittadine e della provincia. I processi per associazione camorristica, lottonero e droga, e le frequenti detenzioni non ne impediscono la crescita malavitosa, tant’è che nell’ottobre del 1992 una inchiesta della Dda di Bologna lo indica come il capo di una agguerrita banda che imperversa sulla riviera romagnola per taglieggiare i commercianti e “controllare” le forniture ai venditori ambulanti. Pochi mesi dopo, finisce in manette mentre partecipa a un banchetto nuziale al ristorante “L’oasi” di Giugliano. Il padrino era il compare dello sposo, “picciotto” del clan. Per bloccarlo, si rese necessario l’intervento di centocinquanta uomini della Squadra mobile, che circondarono i locali e bloccarono ogni via di fuga. Solo dopo si scoprì che al matrimonio era attesa la partecipazione a sorpresa di Bobby Solo. La bomboniera per il compare, un collier d’oro massiccio, quella sera restò tra le mani dell’incredulo sposo.
Nel 1996, viene raggiunto da un ordine di cattura nell’ambito dell’inchiesta scaturita dal pentimento di Antonio Ruocco, ex capozona di Mugnano in guerra contro i Prestieri. Al termine del dibattimento, Salvatore Lo Russo viene assolto, insieme agli altri capi della camorra cittadina finiti sotto processo: Paolo Di Lauro, Angelo Nuvoletta, Giuseppe Polverino, Giuseppe Mallardo e Rosario Pariante. Nell’estate del 2007, la Direzione distrettuale antimafia di Napoli lancia la definitiva offensiva contro il padrino, da qualche settimana tornato in libertà, dopo la decisione del Riesame di annullare un precedente decreto di fermo per associazione camorristica. Secondo i giudici, Salvatore Lo Russo non doveva restare in galera per mancanza del pericolo di fuga.
I magistrati, comunque, non devono attendere molto, per rivederlo ai ceppi: nel giro di un paio di mesi, accumulano tante di quelle prove da ottenere una nuova e più solida ordinanza di custodia in carcere. A parlare del capoclan è il pentito Giuseppe Misso jr, con cui era stato in contatto durante le faide di Secondigliano e della Sanità, a ridosso tra il 2004 e il 2005.
E i riscontri arrivano, puntuali, anche grazie alle cimici installate a bordo dello yacht del boss. Le microspie registrano i piani di espansione della cosca, mentre Lo Russo discute con i suoi uomini di fiducia. Non sa di essere ascoltato e così parla senza grandi preoccupazione.
Il 30 agosto, scatta il nuovo blitz. E il volto arrogante del padrino, che uscendo dal comando provinciale dei carabinieri sbeffeggiava giornalisti e fotografi, alzando il dito medio, immortalato nelle immagini di qualche tempo prima, stavolta, è teso, nervoso. Come dirà il colonnello Gaetano Maruccia, «sa che non uscirà tanto facilmente».

1 commento:

  1. i lo russo che cognome di merda e per non parlare di persone non offendendo agli umaniavete finito di abbusare nel quartiere di piscinola e miano spero che in galera vi pisciono in faccia ADDIO voi nn ci siete piu nn comandate piu un cazzo

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