venerdì 1 gennaio 2010

Natale di lutto per l'attentato al boss

Fu il segno immediatamente percettibile del reale potere della camorra, a Secondigliano, e della sua capacità di indirizzare, frenando o accelerando, le attività quotidiane dei suoi abitanti.
Ancora a distanza di sette mesi da una delle stragi più spietate della storia della malavita napoletana, avvenuta al “Bar Fulmine”, all’interno del rione Monterosa, il clan Prestieri decise di continuare a imporre il lutto all’intero quartiere. Niente luminarie, niente addobbi per quel Natale di lacrime, nonostante gli ornamenti, molto spesso, rappresentassero il paravento per il pagamento del racket. La festività della Natività venne letteralmente cancellata da un clima di terrore a cui nessuno decise di contrapporre la volontà di reagire. Il solo parroco della chiesa della Resurrezione, don Vittorio Siciliano, cercò di offrire una lettura diversa dei fatti, affermando che non si trattava di una volontà delle cosche, ma di un «sentimento di lutto che coinvolge un po’ tutti, parenti ed amici dei giovani uccisi il maggio scorso».
La strana vicenda, però, non sfuggì al Questore e al Prefetto dell’epoca, tant’è che sia il primo (Ciro Lo Mastro) che il secondo (Umberto Improta) decisero di predisporre un piano di controllo particolare per i quartieri a nord di Napoli, dove – a quel tempo – si registrava la furibonda battaglia tra gli esponenti del clan Prestieri, dietro cui si celava la cupola di Paolo Di Lauro, e gli affiliati al sottogruppo criminale di Mugnano, guidati da Antonio Ruocco.
Ci fu un particolare, in quei giorni, che finì al centro del comitato cittadino per l’ordine e la sicurezza: il divieto di vendere i botti di Capodanno, a Secondigliano e Scampia. Segno di rispetto, riportano le cronache dell’epoca, nei confronti dei boss del rione Monterosa, Maurizio e Tommaso Prestieri che, nella strage, avevano perso i due fratelli Rosario e Raffaele.
Solo un ambulante ebbe il permesso, dalla malavita locale, di poter allestire la propria bancarella a ridosso della saracinesca del “Bar Fulmine”, ancora chiuso, a quasi trenta settimane dall’attentato del 18 maggio 1992: era un venditore di uccellini.

Nessun commento:

Posta un commento