Francesco Schiavone intuì subito, seguendo quello che era stato l’orientamento del boss Bardellino, l’importanza di intessere rapporti con la politica locale attraverso un’infiltrazione diretta nelle amministrazioni comunali. La decisione da parte dei Casalesi di conquistare posti di “rispetto” negli enti locali fu presa nel 1981, quando il clan stabilì di far presentare alcuni familiari di Schiavone nelle liste della Democrazia Cristiana per le elezioni locali a Casale di Principe. La data viene indicata dal collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, che ha ricostruito nel dettaglio il meccanismo attraverso il quale il boss Sandokan riuscì in breve tempo a guadagnarsi favori politici e a mettere le mani sulla quali totalità degli appalti pubblici. Alle elezioni del 1982 il partito passò dal trenta al cinquanta per cento e gli esponenti della famiglia risultarono tutti eletti. Una campagna elettorale “capillare” quella portata avanti dagli esponenti del clan, anche attraverso atti intimidatori e minacce. Gli affiliati, a dire del pentito, bussarono ad ogni porta, al fine di orientare i consensi in favore della Dc, determinando un crollo del Psi. L’asse politico si spostò nettamente a favore della Democrazia cristiana (mentre Bardellino sosteneva esponenti del partito socialista) anche nei comuni minori controllati dall’organizzazione (da Villa Literno a Grazzanise a Cancello Arnone e Castelvolturno). “Il condizionamento del voto – hanno spiegato i magistrati nell’ordinanza di custodia cautelare emessa nell’ambito dell’operazione Spartacus – non si limitò alle elezioni comunali, ma si estese ben presto alle elezioni regionali e provinciali”. Il progetto di Schiavone subì una battuta di arresto negli anni Novanta, quando la Dc casertana, allora dominata dalla corrente Santonastaso-De Mita, decise di bocciare la candidatura di un cugino di Schiavone nel tentativo di scongiurare un ribaltamento della leadership e un controllo diretto del partito da parte del clan e la decisione di appoggiare nel 1992 la candidatura al Parlamento di un avvocato, ex consigliere comunale della Dc passato nelle liste del Pli. Il clan non fece passi indietro. Il cugino del boss si presentò con una lista civica denominata “Campania, Cattolici democratici”, ottenendo il 21, 3% del consenso elettorale. Un successo inspiegabile. Inoltre, l’avvocato fu eletto nelle liste del partito liberale e in quella circostanza il Pli a Casale di Principe passò dal tre per cento ad oltre il 30. Dati che restituiscono il livello di penetrazione dell’organizzazione nelle amministrazioni locali. Il meccanismo era ormai consolidato: voti in cambio di favori. I consiglieri comunali e regionali democristiani, in cambio del sostegno alle elezioni, rilasciavo concessioni amministrative, agevolavano l’acquisizione di appalti pubblici da parte di imprese vicine al clan o direttamente controllate dall’organizzazione, e sfruttavano la loro rete di conoscenze per consentire ai Casalesi di mettere le mani su finanziamenti statali, regionali e della Cee. Erano loro, i camorristi, ad orientare i consensi, attraverso l’uso della violenza e dell’intimidazione. Un clima di diffidenza e timore quello che si respirava a Casal di Principe e negli altri comuni casertani che culminò nello scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose. Retroscena sui quali è stato possibile fare luce grazie ai pentiti Dario De Simone e Carmine Schiavone, la cui testimonianza è l’asse portante dell’inchiesta battezzata Spartacus. Fu in quella occasione, nel 1995, che la magistratura rese pubblici i risultati delle indagini sui rapporti tra politica locale e camorra. E fu quella la prima inchiesta (ne faranno seguito delle altre), che portò in manette decine di ex consiglieri comunali e regionali ed esponenti politici di ogni livello. “Quando si doveva votare – ricorda il pentito Carmine Schiavone - vi erano delle riunioni a casa di mio fratello o in altri luoghi dove si stabiliva chi doveva occupare la carica di sindaco, sia per coprire tutto quanto fosse stato fatto in passato sia per assicurare tutto ciò che doveva essere fatto in futuro. Una volta stabilito chi dovesse fare il sindaco, lo si comunicava ai vari esponenti dell’organizzazione a Aversa”. Anche Antonio Bassolino, attuale governatore della Campania, raccontò di un episodio di intimidazione di cui fu vittima nel 1992, quando ricopriva la carica di segretario regionale del Pci, a Casal di Principe (era stato eletto alla Camera dei deputati). Anni dopo, nel 2001, Bassolino fu chiamato a deporre nel corso del maxi-processo contro il clan dei Casalesi e ricordò la sua esperienza. Ricostruì ciò che avvenne durante un’assemblea pubblica organizzata il 25 aprile 1992 dalla federazione provinciale del Pds nella sede di Casal di Principe, quando alcune persone, poi identificate come parenti e amici della famiglia di Francesco Schiavone, interruppero più volte i lavori dell’assemblea, si rivolsero con toni minacciosi nei suoi confronti. Solo qualche giorno prima Bassolino aveva denunciato le infiltrazioni camorristiche nella politica locale, citando proprio l’episodio relativo all’elezione dell’avvocato sostenuto dai Casalesi. “Tutto avvenne in un clima di intimidazioni ai limiti della minaccia fisica”, dichiarò Bassolino in aula. L’assemblea dopo poco fu sospesa e il senatore Lorenzo Diana, che aveva partecipato all’incontro chiamò la prefettura chiedendo l’invio di un’auto di scorta della polizia. Nell’agosto successivo furono sciolti i consigli comunali di San Cipriano d’Aversa e di Cesa, in provincia di Caserta, per accertati fenomeni di condizionamento da parte del clan dei Casalesi. Le forze dell’ordine confermarono quello che in paese sapevano tutti, ma che nessuno aveva osato denunciare: nel consiglio comunale di San Cipriano d’Aversa tra i 30 consiglieri eletti almeno 19 avevano a carico precedenti penali o erano legati ad elementi della malavita organizzata. A partire dal sindaco, arrestato anni prima per favoreggiamento. Ma non furono quelli i primi comuni ad essere sciolti. Il 30 settembre 1991, su proposta dell’allora ministro dell’Interno Vincenzo Scotti, il presidente della Repubblica Francesco Cossiga decise lo scioglimento del consiglio comunale di Casal di Principe per infiltrazioni mafiose. Si trattò di uno dei primi casi in Italia, dopo Taurianova (Reggio Calabria) e Casandrino (Napoli). L’allora vice sindaco risultava il proprietario della villa in cui i carabinieri di Caserta interruppero un summit di camorra nel 1990. Al momento dell’irruzione dei carabinieri, nella villa si trovava il figlio quindicenne del politico. L’assessore fuggì, facendo perdere le proprie tracce. Si costituì ai carabinieri dopo oltre un mese di latitanza. Anche un consigliere comunale della Dc venne coinvolto nelle indagini sul clan Schiavone con l’accusa di favoreggiamento personale: nella sua abitazione aveva ricavato un “sofisticato” nascondiglio per più persone. Inoltre, risultava il proprietario dell’automobile a bordo della quale il 18 maggio 1989 venne arrestato in Francia Francesco Schiavone. Finì sotto la lente di ingrandimento della magistratura anche un parente omonimo del boss, Francesco Schiavone, consigliere comunale ed ex sindaco. Nel 1989 furono numerosi gli arresti di esponenti della politica locale per favoreggiamento e concorso in associazione di stampo mafioso. Ancora oggi emerge dalle indagini che il clan dei Casalesi è infiltrato nelle istituzioni politiche al punto di riuscire a condizionare il voto, soprattutto con riferimento alle elezioni amministrative. Lo dimostrano le numerose commissioni d’accesso predisposte dalla Prefettura di Caserta e i recenti scioglimenti di comuni della provincia. Nel marzo del 2008 il consiglio dei Ministri ha approvato lo scioglimento dei consigli comunali di Marcianise e San Cipriano d’Aversa: in entrambi i casi sono stati accertati forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata. Il comune di San Cipriano D’Aversa (dove risiede la famiglia Iovine) era stato sciolto già nel novembre 2003.
(Tratto da "Attacco allo Stato", Forumitalia edizioni)
giovedì 29 ottobre 2009
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