venerdì 2 ottobre 2009

La biografia criminale di Francesco Schiavone "Sandokan"


Disposti a tutto, pur di arrivare a brillare nel firmamento dei boss. Privi di scrupoli, senza porre alcun limite nella ricerca del denaro e del potere. E come Riina, Schiavone non si separò mai dalla sua famiglia: concepì due dei suoi sette figli durante la latitanza, sfidando a viso aperto lo Stato. L’ultima figlia nacque nel marzo del 1997 nella clinica Ruesch di Napoli. Ma non furono questi gli unici punti di contatto tra il boss dei Casalesi e il padrino di Cosa nostra. Si incontrarono faccia a faccia i due capi. Nel 1993 Schiavone e Riina condivisero la cella nel carcere dell’Asinara. Con loro anche Augusto La Torre (poi passato a collaborare con la giustizia) e Luigi Venosa, entrambi ritenuti capi dei clan che da loro prendono il nome e che, negli anni Novanta, si opporranno proprio ai Casalesi. Si trattò forse di una distrazione, o almeno così volle considerarla l’allora presidente della commissione Antimafia Luciano Violante, che alla stampa dichiarò: “E’ necessario che siano quanto prima separati perché altrimenti si ricostituirebbe una cupola di cui non abbiamo bisogno. Inoltre, se si tiene conto che c’è un colloquio al mese per ogni detenuto, arriverebbero a Caserta direttive ogni dieci giorni rendendo inutile le misure di mandarli all’Asinara e di limitare i contatti con l’esterno”.
Della tappe della carriera criminale di Schiavone c’è ampia traccia nei fascicoli dei magistrati antimafia. Sandokan, lo chiamano così da sempre, per la barba ed i folti capelli neri, particolari che ricordano l’attore Kabir Bedi, protagonista del celebre film salgariano del ‘63.
Un sopranome che Francesco Schiavone, figlio di Nicola Schiavone, il capostipite della famiglia, non ha mai gradito. Il boss di Casal di Principe ha attraversato la storia della camorra, lasciando un segno tangibile della sua forza criminale nel passato politico e imprenditoriale dei Comuni che rientrano nella zona di influenza dei Casalesi.
Le leggende legate alla sua particolare ferocia e alla spietatezza contro amici e nemici si intrecciano alle verità accertate in sede processuale. Schiavone tradì il boss Bardellino, il padrino in contatto con i picciotti della Cupola siciliana legati a Stefano Bontade e Tano Badalamenti, prese parte alla congiura che portò alla sua morte per mano di Mario Iovine e, nello stesso giorno in cui gli fu comunicata l’uccisione di Bardellino, partecipò all’agguato contro il nipote del vecchio padrino, Paride Salzillo. Dicono le cronache giudiziarie che fosse pronto anche ad ammazzare quello che poi diventerà il suo braccio destro, Francesco Bidognetti, Cicciotto ‘e mezzanotte per tutti. “Fremeva di ucciderlo”, sostengono i collaboratori di giustizia.
(2-continua)

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