martedì 1 dicembre 2009

La storia del clan Frizziero


Come quella mala pianta che arriva ad infestare un intero giardino da una zolletta di terra contaminata, così i Frizziero hanno monopolizzato, in silenzio, gli affari illeciti a Chiaia e a Mergellina, partendo dal piccolo rione della Torretta. Di loro parlano, sin dagli anni Ottanta, le informative delle forze dell’ordine che elencano, quartiere per quartiere, le organizzazioni ostili alla Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Più che una cosca, è un agguerrito sodalizio familiare, tant’è che nella vita e nella gestione del gruppo – giunto, ormai, alla terza generazione – sono stati coinvolti tutti i parenti, pure minorenni, e finanche la nonna degli attuali capi ha al suo attivo un arresto per la detenzione di una pistola, in casa. Una pistola, evidentemente, di cui si servivano i nipoti.
Ricorda Raffaele Marino, ex sostituto Antimafia a Napoli e attuale procuratore aggiunto a Torre Annunziata: «Dell’esistenza e dell’operatività del gruppo, nato dal matrimonio tra Adele Frizziero e Giovanni Alfano, padrino del Vomero, hanno raccontato diversi collaboratori di giustizia, tra i quali Rosario Privato e Bruno Rossi, che tra l’altro si è autoaccusato dell’omicidio di Alvino Frizziero. Gli affari che controlla sono molteplici e remunerativi: oltre alla vendita di stupefacenti, il racket delle estorsioni (sono costretti a pagare non soltanto attività commerciali e imprese, ma anche i venditori ambulanti del mercatino del weekend), l’usura e il gioco clandestino. E i metodi per convincere le vittime ad assecondare le loro richieste sono brutali. Il 2 maggio del 2006, ad esempio, un estorsore del clan si presenta nel negozio di abbigliamento “Caruso”, che si trova alla Torretta, e di fronte ai tentativi del titolare di ritardare il pagamento di una maxi-tangente da 50 milioni di lire, lo afferra per il collo e gli svuota addosso una intera bottiglia di plastica contenente benzina, aggiungendo: “Allora non avete capito niente… Dovete preparare i soldi che vi abbiamo chiesto, se non lo fate la prossima volta che torniamo vi spariamo proprio…”».
L’aria di omertà e di violenza che si respira in zona e i rapporti con il clan Alfano concorrono, negli anni, a consolidare il potere criminale del gruppo, che non esita a mettere in pratica, sul proprio territorio, atti di vero e proprio terrorismo. Racconta il pentito Rosario Privato, a proposito della faida in atto alla Torretta tra il vecchio gruppo di Mario Dello Russo e i Frizziero: «Un attentato è stato effettuato nel 1991 quando Antonio Caiazzo e Gennaro Formigli hanno collocato nell’auto di Peppe ’a viola (Giuseppe Ceglia, appartenente alla cosca rivale, ndr) una bomba. La notte fu collocata la bomba ed il pomeriggio successivo Giovanni Alfano, a bordo di un’autovettura nella quale si trovava con Alessandro Desio, premette il telecomando che fece esplodere l’autovettura alla Torretta. Peppe ’a viola saltò in aria con tutta la macchina ma rimase solo ferito».
Per un certo periodo lo stesso boss Alfano si trasferisce alla Torretta per seguire meglio gli affari illeciti. È ancora Privato a descrivere quegli anni: «Quando Alfano esce dal carcere, viene sottoposto agli arresti domiciliari; in virtù di quel fatto che noi avevamo una rottura interna, Alfano si fa trasferire il domicilio degli arresti domiciliari a vico Piedigrotta… siamo scesi alla Torretta perché avevamo questa rottura... io sono andato ad abitare alla Torretta dopo che è uscito Alfano, dopo qualche mese, un mese e mezzo, penso di essere andato; sì, questo arco di tempo penso che sia trascorso. Andai ad abitare alla Torretta in virtù del fatto che mi era stata notificata la carta precettiva, quindi dovevo recarmi al Commissariato una volta alla settimana per andare a firmare. Quindi, essendoci una scontro in atto tra il gruppo Alfano e il gruppo Caiazzo, non mi sentivo sicuro a recarmi alla questura del Vomero, quindi spostai il mio domicilio alla Torretta, anche perché poi Alfano era uscito dal carcere, quindi stavamo vicini e lui mi procurò questa abitazione, mi sembra che la signora faceva di cognome Trace, ora non lo ricordo, può essere anche che posso confondere il cognome, ma era un'amica di famiglia di Alfano... demmo dieci milioni alla signora per lasciare la casa e poi noi facemmo un contratto di affitto dal proprietario, ma dieci milioni li demmo alla signora, se non erro mi sembra che me li diede proprio Alfano... ».
«I Frizziero», prosegue Raffaele Marino, autore delle inchieste che hanno portato all’azzeramento del clan, «sono in rapporti di collaborazione con molte altre organizzazioni della città: i Di Biasi, ad esempio, e i Terracciano dei Quartieri Spagnoli». Il motivo è semplice, spiega il magistrato: «A Mergellina e nel quartiere di Chiaia convogliano gli interessi di quasi tutte le cosche più importanti della città, i Misso, i Giuliano, i Sarno, attirate dai guadagni assicurati dalla gestione dei pontili turistici e dal racket degli ormeggi».
La contrapposizione con l’Alleanza di Secondigliano, di cui per un periodo è stato referente Rosario Piccirillo, soprannominato ’o biondo, è particolarmente feroce, dal momento che i Frizziero riescono a infiltrarsi anche a Fuorigrotta, che diventa una sorta di seconda base operativa del gruppo. Come, peraltro, conferma il collaboratore di giustizia Massimo Di Stasio ai pm Antimafia: «Ricordo di avere accompagnato una volta Fausto Frizziero a Fuorigrotta, sotto a un palazzo situato in quella strada posta sulla destra non appena si esce dalla grotta; è una strada che ha dei paletti. Lì Fausto Frizziero andò a prendere della cocaina… La droga veniva spacciata alla Torretta da un ragazzo soprannominato ’o bliz che sta alla Torretta e da un altro ragazzo che ha un negozio di fruttivendolo alla fine del Corso V. Emanuele, di fronte alla stazione della Metropolitana di Mergellina. Non ricordo il nome di questo ragazzo, ricordo però che il negozio di frutta era del suocero… Nell’occasione in cui io mi recai a Fuorigrotta ad accompagnare Frizziero Fausto a prendere la cocaina ebbi in regalo da lui 2-3 grammi di cocaina per mio uso personale. Anche in altre occasioni ho avuto da loro, in regalo, piccoli quantitativi di cocaina in quanto loro erano sempre forniti e ne facevano anche uso».
Dopo un quarto di secolo di soffocante potere criminale, il clan Frizziero è stato quasi completamente sgominato: le inchieste della Dda hanno portato in carcere tutti gli esponenti di maggiore spicco, alcuni dei quali hanno incassato severissime sentenze di condanna per gravi reati.

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