giovedì 10 dicembre 2009

Il clan e l'ospedale Cardarelli

Il coraggio di un sindacalista dell’ospedale Cardarelli fermò i piani criminali del boss Giovanni Alfano, che voleva impadronirsi della gestione del mega-parcheggio della struttura sanitaria. La vicenda, emersa nella inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che il 29 maggio 2001 portò all’arresto di quattro camorristi, si concluse con la rabbiosa reazione del clan che punì l’uomo, picchiandolo selvaggiamente davanti alla moglie e alla figlia.
I fatti risalgono al 1999, quando la direzione del nosocomio più grande del Sud Italia autorizza la realizzazione di un parking da affidare ai privati. Del progetto, del valore di parecchi miliardi di lire, si interessano subito i gruppi criminali della zona e, in particolare, la banda capeggiata dal padrino Alfano. A guastare i piani dell’organizzazione, a sorpresa, però, sono le rimostranze di alcune sigle sindacali del Cardarelli, che protestano con i vertici dell’ospedale contro il bando di gara che trasforma l’immensa area verde in un’area di sosta, con tutti i problemi logistici e ambientali che ne derivano.
Il progetto, così, viene ridimensionato e rimesso in discussione, ma il colpo di scena arriva quando una talpa della cosca, all’interno del Cardarelli, informa i capi dell’organizzazione dell’identità di un rappresentante dei lavoratori tra i più attivi sul fronte del no. L’uomo, che nulla sospetta, viene pedinato fin sotto casa e aggredito da due affiliati per aver fatto fallire il piano.
Dell’interesse della camorra del Vomero sul settore sanitario, si ha conferma in un’altra inchiesta – coordinata come la precedente dall’allora pm della Dda, Raffaele Marino – che svela la concorrenza sleale nell’ambito del trasporto infermi, con minacce ai dipendenti e ai gestori delle associazioni private, danneggiamenti di ambulanze (alcune furono distrutte in un incendio) ed estorsioni ai danni dei parenti dei pazienti, costretti a pagare cifre altissime per poter usufruire del servizio.
L’indagine del luglio 2005 si concentrò, in particolare, sulla “Croce Cangiani”, che aveva visto tra i suoi dipendenti – per un breve periodo – anche Giovanni Totaro, boss emergente del Vomero, ammazzato la sera del 6 febbraio 2007, a Marano.

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La violenza e la ferocia della cosca Alfano trovano spazio, per la prima volta, in un approfondito dossier che l’allora capo della Squadra mobile di Napoli, Matteo Cinque, distribuisce a commissariati e uffici investigativi come strumento d’indagine nei confronti delle organizzazioni emergenti più potenti della città. Siamo nel 1988: il volume, di circa 350 pagine, è un’analitica ricostruzione delle alleanze e delle rivalità tra i clan ed elenca capi e gregari che si contendono il ricco mercato del traffico di stupefacenti, i cambiamenti avvenuti al vertice e i rapporti con Cosa nostra siciliana e ’Ndrangheta calabrese. Nei primi dieci mesi dell’anno, c’erano stati già 155 morti e 180 ferimenti dovuti a sconfinamenti territoriali per l’imposizione del racket e la gestione dello spaccio di droga.
Nella mappa della criminalità, il capo della Mobile Cinque si sofferma, in particolare su due personaggi in ascesa: Edoardo Contini, padrino dei quartieri Vasto-Arenaccia, e Giovanni Alfano, appunto, indicato nel testo come «boss di rilievo al Vomero».

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