martedì 1 dicembre 2009

I nemici: Dello Russo e Piccirillo


Rosario Piccirillo finisce in manette il 26 luglio 1989 in un lussuoso albergo di Ischia, dove si trova in vacanza con l’ex finanziere d’assalto Ninì Grappone, condannato per il crac miliardario della compagnia di assicurazioni “Lloyd Centauro” e del “Banco di credito campano”.
Nella stanza, gli agenti del commissariato – allertati dalla presenza del pregiudicato sull’isola – trovano dosi di cocaina, duecentocinquanta grammi di hashish e dodici milioni in contanti.
Il giovane – che all’epoca ha 27 anni – è legato al boss di Posillipo Giovanni Paesano e gestisce il traffico di stupefacenti nella zona di Chiaia, in rivalità con la famiglia Frizziero, e il contrabbando di sigarette in collaborazione con il clan di Amedeo Giannoccaro, padrino della Sacra Corona Unita pugliese.
Il suo potere economico cresce grazie al riciclaggio del denaro sporco, su cui si concentrano fin da subito le indagini della magistratura: nell’ottobre 1991, la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Napoli dispone il sequestro di una gioielleria, in via Ferdinando Galiani, e di uno yacht di dieci metri, battezzato “Topo Gigio”, all’ancora nel porticciolo di Mergellina e utilizzato, secondo l’ordinanza firmata dal giudice Guglielmo Palmeri, per trasportare le bionde a Napoli. Il valore dei beni è di quattro miliardi di lire.
Dieci anni dopo, Rosario Piccirillo torna in galera, insieme a due complici, con l’accusa di usura: un imprenditore finito sul lastrico, perché costretto a pagare il 10 per cento mensile alla banda, decide di denunciare tutto alla magistratura. Le indagini accertano che la riscossione degli interessi avviene attraverso assegni e cambiali o scontando assegni postdatati che vengono ceduti dall’imprenditore in cambio di somme in contanti decurtate degli interessi usurari. Nel corso della perquisizione nell’appartamento di Piccirillo, la polizia trova decine di assegni e cambiali e cinquanta milioni di lire, in contanti, nascosti nel porta-ombrelli.
Tornato in libertà, Rosario Piccirillo, soprannominato ’o biondo, nel luglio del 2005 è coinvolto in una nuova inchiesta sul racket dei pontili turistici a Mergellina. Secondo le accuse della procura antimafia, infatti, tre picchiatori del suo gruppo avrebbero aggredito e minacciato un socio del consorzio di ormeggiatori di via Caracciolo perché rinunciasse a lavorare.
Le inchieste della magistratura sferrano un altro duro colpo alla banda nel dicembre 2008, con l’arresto del fratello del boss, Ciro Piccirillo, e di altri affiliati che hanno chiesto una maxi-tangente di 5mila euro ai commercianti di Chiaia.
Rosario Piccirillo, nel frattempo, ottiene la misura della sorveglianza speciale e lascia il carcere, dove ritorna nell’agosto di quest’anno, dopo il fermo dei carabinieri della stazione del rione Traiano che lo sorprendono, in compagnia di alcuni pregiudicati, all’esterno di un hotel in via Manzoni, dove il padrino di Mergellina aveva eletto domicilio.

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Le prime informative sulla criminalità organizzata nella zona della Torretta, risalenti alla metà degli anni Ottanta, vedono come indiscusso protagonista della scena il boss Mario Dello Russo, soprannominato Marittiello ’o pazzo, braccio destro del padrino di Posillipo, Giovanni Paesano, e suo plenipotenziario nel ricco mercato del traffico di stupefacenti.
Di Dello Russo gli organi investigativi napoletani iniziano a occuparsi in relazione ai festini a base di cocaina della “Napoli-bene” e agli episodi di estorsione ai danni dei commercianti e dei ristoratori di Chiaia, costretti a pagare tangenti salatissime per poter continuare a lavorare.
Il boss è inserito nel sistema camorristico dei Mariano, tant’è che di lui parla – a più riprese – anche la pentita Carmela Palazzo, passata alla storia giudiziaria anticamorra con il soprannome di Cerasella.
Proprio sulla base delle dichiarazioni della donna, Dello Russo viene coinvolto nella maxi-inchiesta del gennaio 1992, condotta dai pm Federico Cafiero De Raho e Maurizio Fumo, e rinviato a giudizio insieme a capi e gregari della malavita dei Quartieri Spagnoli.
La sua posizione processuale si estingue, però, il 15 maggio 1992, quando un commando di killer lo ammazza nei pressi di un distributore di benzina alla riviera di Chiaia; non distante da dove, il 27 novembre 1985, i killer avevano trucidato Alvino Frizziero, padre di Orlando e cognato del padrino del Vomero, Giovanni Alfano. Frizziero aveva iniziato a contendere a Dello Russo e a Rosario Piccirillo, suo giovane affiliato, i traffici illeciti nei quartieri Chiaia e San Ferdinando, riuscendo a imporsi, in particolare, nella vendita al dettaglio dell’eroina e della cocaina.
Al momento dell’agguato, era in libertà, Dello Russo, nonostante due mesi prima fosse finito in manette con l’accusa di tentata estorsione ai danni di un artigiano, a cui la polizia aveva restituito quattro mobili di pregio, da lui realizzati, che erano stati rubati il giorno di Natale di tre anni prima dal suo negozio e ritrovati nell’abitazione del boss alla Torretta.
Il figlio e un complice di Dello Russo avevano avvicinato l’artigiano, mentre questi stava caricando sul suo furgoncino i mobili, e l’avevano minacciato di non riconoscerli nel corso del processo. I mobili erano stati affidati, in attesa del dibattimento, all’artigiano, che per questo motivo era stato autorizzato a prelevarli e a riportarli nella propria bottega.

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