sabato 12 settembre 2009

Il regista dell'orrore - parte 1


Per gli inquirenti, la strategia stragista dei Casalesi ha un unico regista: Giuseppe Setola, nato a Santa Maria Capua Vetere il 5 novembre 1970. Con lui agiscono Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia e Oreste Spagnuolo, tutti e tre catturati nel blitz del 30 settembre scorso, che ha portato in carcere oltre cento affiliati alla cosca di Casal di Principe. Oreste Spagnuolo si pentirà qualche giorno dopo la cattura e inizierà a raccontare ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli il ruolo e la figura del nuovo capo dei Casalesi.
Io sono stato affiliato con il gruppo Bidognetti nel 2000 e fui affiliato da Alessandro Cirillo quando iniziai a fare il giro per le estorsioni presso il litorale domizio; prendevo circa 2 milioni e mezzo di lire al mese.
Il mio gruppo ha sempre fatto capo a Francesco Bidognetti ed alle persone che lo rappresentano sul territorio. All’epoca della mia affiliazione, nel 2000, il referente del capo recluso era Alessandro Cirillo. So che in un periodo immediatamente antecedente alla mia affiliazione il capo era Giuseppe Setola ma questi fu arrestato proprio pochi giorni prima che io entrassi a far parte stabile del gruppo; prima ero soltanto una persona a disposizione ed ero impiegato secondo necessità. (…) Sono rimasto sempre legato al gruppo e prima dell’evasione di Peppe Setola il gruppo rimase gestito da Alessandro Cirillo, almeno fino all’inizio della sua latitanza, collegata al pentimento di Domenico Bidognetti; due giorni dopo la notizia del suo pentimento Alessandro Cirillo si rese latitante e la gestione del clan passò ad Massimo Alfiero e Emilio Di Caterino. Peppe Setola manteneva rapporti con il clan attraverso Nicola Alfiero ed ad un certo punto Setola, posto agli arresti domiciliari per un problema agli occhi, decise di evadere.
(…) Il clan, prima dell’evasione di Setola, si trovava in un periodo stagnante, e tutto cambiò con l’avvento di Peppe. Posso dire che Setola evase quando ritenne che la gestione del clan non lo convinceva, in particolare accusò Alessandro Cirillo di trattenersi parte delle somme destinate agli affiliati e di ciò fu informato dal suo fiduciario Massimo Alfiero. In un periodo, proprio per relazionarsi direttamente con Giovanni Letizia e con Massimo Alfiero, Setola procurò loro due telefoni cellulari dedicati proprio a trattenere i rapporti telefonici con lo stesso Setola. (…) Tornando alla narrazione, una volta che Peppe Setola evase (…) convocò Giovanni Letizia e Alessandro Cirillo, presente anche Massimo Alfiero. Quel giorno Setola prese il comando e dichiarò subito la sua intenzione di fare “a modo suo”; capimmo subito cosa intendeva. Per noi Setola era già un capo quando era detenuto e fu naturale che questi assumesse il comando. Setola è sempre stato il pupillo di Francesco Bidognetti, era noto nell’ambiente; anche Aniello Bidognetti era estremamente legato a Setola, erano amici di vecchia data. Giuseppe Setola evase nell’aprile di quest’anno. Creò un gruppo ristretto di persone ed assunse un atteggiamento estremamente autoritario; (…) La strategia di Setola fu evidente e questi decise di incutere il terrore sul territorio e di uccidere i familiari dei pentiti. Non dava alcune spiegazione delle sue determinazioni perché nessuno poteva avere alcun ruolo nelle sue decisioni; assunse un ruolo di massima autorità. Non vi era alcuna possibilità di discutere delle sue scelte e tutte le persone facenti parte del gruppo aderirono necessariamente alla sua volontà. Inizialmente il gruppo fu estremamente ristretto, in pratica costituito dalle persone libere facenti capo al clan Bidognetti. Il clan si strinse attorno a Setola e furono da questi scelti Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia ed io: la scelta su di me cadde perché anche io ero latitante, così come Letizia e Cirillo, e trascorrevo la latitanza insieme a Letizia. Praticamente eravamo noi quattro a fare tutto ma ovviamente avevamo una rete di persone che agivano per noi, una dozzina di persone; alcuni di questi erano affiliati – stipendiati per poco meno di 2 mila euro al mese – ed altri erano semplicemente “a disposizione”, traendo profitto ed essendo legati al capo per amicizia e timore. (…) La cassa era gestita direttamente da Setola ed ammontava mediamente a 90 mila euro al mese, subendo le variazioni legate alle contingenze. Setola decise dunque di attuare questa strategia di terrore sul territorio e così si agì secondo i suoi ordini; non so dire quanto questa strategia fosse necessaria ma certamente il capo disse che era stata autorizzata dal capo detenuto, Francesco Bidognetti; ricordo in particolare che in un’occasione, pochi mesi fa, quando erano stati già consumati molti omicidi, il figlio di “Cicciotto”, Gianluca Bidognetti, ci disse – tornando da un colloquio - che non aveva mai visto il padre così contento come ora. Peppe Setola si occupava personalmente di far recapitare una quota destinata alla famiglia Bidognetti – ossia al padre Cicciotto ed ai figli Aniello e Raffaele, tutti detenuti – …
A Cicciotto venivano recapitati 5 mila euro mensili mentre ai figli Aniello e Raffaele venivano dati 3 mila e cinquecento euro ciascuno, corrisposti tramite le loro rispettive mogli…
(…) La strategia prevedeva di terrorizzare gli imprenditori, i familiari dei pentiti e scoraggiare futuri pentimenti(…)Setola voleva poi controllare il territorio e per questo decise di punire i cittadini albanesi ritenuti colpevoli di consumare i furti avvenuti nella zona di Castel Volturno e sulle zone da noi controllate; le vicende omicidiarie ai danni dei cittadini di colore si legavano invece alla volontà di imporre loro il versamento di una tangente sui traffici di droga, da costoro gestiti. Le zone da noi controllate erano Castelvolturno, Pescopagano, Destra Volturno, la Domiziana, Villaggio Coppola, Ischitella, Villa Literno, Lusciano, Parete, Trentola (…)
Setola agiva a volto scoperto; non si è mai preoccupato di un eventuale riconoscimento, anche quando noi gliene chiedevamo le ragioni; ci rispondeva che non gli fotteva niente e che noi “non facevamo gli orefici”. Disse anche che aveva già un ergastolo e non aveva niente da perdere.
(…) Noi abbiamo avuto la disponibilità di tre kalashnikov, due dei quali sono stati sequestrati ed il terzo è rimasto in possesso di Setola. Setola ha anche una pistola mitragliatore senza marca, forse di fabbricazione spagnola; è un’arma che somiglia ad un M12 ma è di dimensioni più piccole; dispone di un caricatore di 29 munizioni, cal. 9. (…) L’arsenale è stato sempre custodito nel luogo ove le armi sono state sequestrate.
Sia i tre kalashnikov (due dei quali sequestrati), sia il fucile a pompa – poi sequestrato - furono procurate da Massimo Alfiero. Sempre Alfiero procurò anche la cal. 9 che è stata sequestrata a casa di Cirillo e Letizia.
Ricordo che Setola ha parlato del fatto che cercava di procurarsi dell’esplosivo con un detonatore con telecomando; non mi ha spiegato cosa voleva farci ma diceva che era un modo facile per uccidere.

(Tratto dal libro "Attacco allo Stato", Forumitalia edizioni)

4 commenti:

  1. Salve, ci provo anche qui: sto cercando il mitico reportage di Giò Marrazzo sulla N.C.O., per il tg2 Dossier. Risale al 1981 ed è introvabile. Chi può aiutarmi?
    Magnifico blog. Di Meo Sei un grande.

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    1. Cerco anch'io questo dossier mi è capitato di vederlo su rai storia nel 2009 non l'ho più ritrovato, se qualcuno avesse la registrazione può contattarmi zolapaz81@virgilio.it
      grazie

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  2. Ciao Adriano,
    ti ringrazio per i complimenti
    Purtroppo non so come aiutarti, vorrei vederlo anche io... ma ormai è introvabile
    saluti,
    sdm

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  3. Io l'ho visto a La Storia siamo Noi. Ce l'hanno solo in archivio alla Rai, credo.

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