martedì 8 settembre 2009
La strategia del terrore
Il 2008 è stato l’anno dell’offensiva dello Stato contro il clan dei Casalesi, la mafia rurale che si annida nelle lande brulle della provincia di Caserta. Smantellata dalle indagini della magistratura e messa all’angolo dalle inchieste patrimoniali che hanno portato al sequestro, e alla successiva confisca, di veri e propri imperi milionari, la cosca ha risposto alzando il tiro, minacciando di uccidere pm e investigatori impegnati in prima linea con i lanciarazzi di fabbricazione russa.
Decine e decine di arresti sono stati compiuti in questi mesi a conclusioni di complesse operazioni investigative che sono andate a colpire le ali militare ed economica dell’organizzazione. Eppure, il colpo di coda della «bestia» ferita è riuscito a inquietare un intero Paese; in poco meno di cento giorni, i Casalesi – vecchi e nuovi – hanno cercato di portare a termine una feroce «pulizia etnica» che ha colpito, senza distinzioni di sorta, donne e anziani, imprenditori e immigrati, tutti colpevoli – a loro modo – di essere imparentati con i collaboratori di giustizia e di aver osato ribellarsi al loro potere.
È una lunga scia di sangue e di attentati quella su cui la procura antimafia di Napoli, guidata da Franco Roberti, sta indagando: una fila ininterrotta di lapidi e di proiettili che hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale la ferocia e la determinazione di un manipolo di camorristi, pronti a tutto pur di affermare il proprio dominio in zona.
Scrivono i magistrati: «L’esecuzione di più agguati insieme nelle ore notturne con esplosione di centinaia di colpi di kalashnikov nei confronti di discoteche, supermercati, negozi di arredamento in varie zone del territorio di Catelvolturno e limitrofo di pertinenza dell’ala bidognettiana del clan dei Casalesi, alternati ad omicidi di parenti di collaboratori di giustizia e di imprenditori con un passato da denuncianti, avvalorano il quadro indiziario via via formatosi e soprattutto non lasciano più dubbi sulla unicità del progetto camorristico-mafioso seguito dal gruppo operante sul territorio e sulla esistenza di un forte vincolo quasi ideologico tra gli affiliati. Appare, infatti, sufficiente leggere quanto emerso nelle informative di reato relative alle stragi di Castelvolturno dell’agosto e del settembre per comprendere come il gruppo di fuoco risponda ad una precisa logica criminale e che tutte le attività delittuose siano avvinte tra loro e finalizzate a rafforzare il predominio sul ter-ritorio ed a garantire la vita e lo sviluppo dell’organizzazione criminosa. La potenzialità delle armi adoperate e la spregiudicatezza nell’eseguire anche i più efferati delitti rappresentano sicuri indici sintomatici della esistenza di una organizzazione mafiosa nella quale ogni soggetto svolge un compito ben preciso e risponde ad un comando forte, carismatico e spregiudicato tanto da incutere terrore anche negli stessi accoliti».
Ad agire, secondo le risultanze investigative, è una «costola» del clan Bidognetti, capeggiata da Giuseppe Setola, uomo di fiducia del boss ergastolano, Francesco Bidognetti. Contando su un gruppo di «fedelissimi», Setola avrebbe imposto una strategia «terroristica» nella zona controllata dalla cosca (litorale domizio e aree a ridosso tra le province di Napoli e di Caserta) con attentati e delitti a ripetizione.
2 MAGGIO 2008
Umberto Bidognetti, 69 anni e nessun precedente, viene ammazzato con tredici colpi di arma da fuoco, l’ultimo dei quali diretto alla testa. I killer entrano in azione alle 6 del mattino, all’interno dell’azienda bufalina «Sementini», che l’uomo – papà di Domenico Bidognetti, camorrista pentito – ha preso in gestione da qualche mese. La struttura si trova a Castelvolturno, nel cuore del «feudo» del boss Francesco Bidognetti, nipote della vittima e cugino del collaboratore di giustizia.
Umberto Bidognetti aveva fatto appena in tempo a cambiarsi gli stivali e a entrare nel deposito di mangini, quando è stato sorpreso dai due sicari che hanno aperto il fuoco. Poco lontano, due tunisini che lavorano nell’azienda si sono trovati a osservare la fuga del commando, in sella a una potente motocicletta. Ma i loro ricordi si sono fermati lì: al rombo dei motori e alla nuvola di polvere alzata dalle ruote.
Gli assassini hanno perseguito “un duplice obiettivo”, dirà qualche ora dopo il procuratore aggiunto Franco Roberti, coordinatore della Direzione distrettuale antimafia. “L’agguato rappresenta cioè un segnale di ricompattamento dell’organizzazione destinato sia ai detenuti sia ai latitanti per dire: siamo qui e controlliamo ancora noi il clan dei Casalesi; dall’altro lato l’omicidio è un segnale di dissuasione nei confronti di chi volesse intraprendere la strada della collaborazione con la giustizia”. Umberto Bidognetti aveva rinunciato al programma di protezione e si era pubblicamente dissociato dal figlio.
16 MAGGIO 2008
Domenico Noviello è il titolare di un’autoscuola a Castelvolturno: viene ammazzato mentre è alla guida della sua «Panda», alla rotonda di Baia Verde. Nel 2001 aveva denunciato un tentativo di estorsione da parte del clan dei Casalesi: la sua testimonianza aveva portato alla condanna di tre camorristi, tra cui i fratelli Alessandro e Francesco Cirillo. La vittima riesce ad accorgersi dell’arrivo del commando e a scappare, mentre i sicari aprono il fuoco. La sua fuga termina a una decina di metri dall’auto, abbandonata ancora con il motore acceso: i killer raggiungono l’uomo e lo abbattono con venti colpi di pistola.
30 MAGGIO 2008
Francesca Carrino ha 25 anni ed è nipote di Anna Carrino, l’ex compagna del boss Francesco Bidognetti che ha deciso di collaborare con la giustizia. Si salva per puro miracolo dall’azione di fuoco dei killer della camorra, che si presentano sotto casa della nonna, a Villaricca, a bordo di un’auto con lampeggiante qualificandosi come agenti della Direzione investigativa antimafia di Napoli. Appena la giovane apre la porta dell’abitazione, partono i proiettili. Almeno dodici, ricostruiranno gli inquirenti. È una pioggia di fuoco da cui la vittima designata riesce a liberarsi solo grazie alla prontezza di riflessi con cui sbatte la porta in faccia agli assassini.
Francesca Carrino finirà ricoverata in ospedale con due colpi di pistola nell’addome.
1 GIUGNO 2008
La vita di Michele Orsi termina in una pozza di sangue, a pochi metri da casa, all’interno del «Roxy Bar», a Casal di Principe: i killer lo freddano con un colpo alla testa esploso da distanza ravvicinata. Imprenditore coinvolto in una inchiesta della Direzione distrettuale antimafia sul business dei rifiuti, Orsi decide di raccontare la propria verità ai magistrati dopo l’arresto e di svelare i rapporti contaminati tra la camorra e l’industria dell’ecologia. Non è un pentito nel senso tecnico del termine, ma il suo contributo di conoscenze è assai apprezzato dagli inquirenti, tant’è che quando lo ammazzano, il procuratore aggiunto Franco Roberti lo definisce «il Salvo Lima della camorra casertana», aggiungendo, inoltre: «Gli omicidi eseguiti dai Casalesi negli ultimi tempi sono tutti molto gravi, ma, se è possibile fare una graduatoria, si può affermare che quello di Orsi è di una gravità inaudita”.
Alcune settimane prima dell’attentato, erano stati esplosi alcuni colpi di pistola contro l’abitazione della vittima. Avvertimento a cui la Procura antimafia di Napoli aveva prestato grande attenzione, segnalando la situazione di pericolo di Orsi alla Prefettura di Caserta e ai locali organi di polizia giudiziaria. Ma all’uomo non era stata assegnata alcuna forma di protezione, o di tutela.
11 LUGLIO 2008
Ucciso per non aver voluto pagare il pizzo e per lanciare un segnale ai commercianti e ai piccoli imprenditori del litorale desiderosi di seguire il suo esempio: è questo il duplice movente dell’agguato a Raffaele Granata, 70 anni, padre del sindaco di Calvizzano. I killer lo ammazzano all’interno dello stabilimento balneare «La Fiorente», a Marina di Varcaturo. L’uomo nel 1992 aveva mandato sotto processo alcuni estorsori del clan dei Casalesi, che gli avevano imposto la «tassa della tranquillità» e, due giorni prima dell’agguato, aveva ricevuto la visita di due estorsori – Luigi Ferrillo e Giuseppe Gargliardi, successivamente arrestati – per il pagamento della tangente estiva.
4 AGOSTO 2008
Due immigrati albanesi, Ziber Dani e Arthur Kazani, vengono affrontati da cinque killer a volto coperto mentre si trovano davanti a un bar, a Castelvolturno: il primo muore mentre è ancora seduto (i carabinieri lo ritrovano con la testa bucata dalle pallottole riversa sul tavolino del locale), il secondo – invece – riesce a scappare per un centinaio di metri, ma viene raggiunto e abbattuto con dieci colpi di pistola alla schiena, più quello finale alla testa. Secondo le prime indagini, i due avevano avviato una attività di spaccio senza il permesso del gruppo camorristico sul litorale domizio.
18 AGOSTO 2008
Sei killer, a bordo di un furgone bianco e di una moto, arrivano in via Battisti, a Castelvolturno, e sparano su un gruppo di stranieri, che si trova su un balcone poco distante, ferendone quattro. L’agguato viene registrato dal circuito di telecamere del villino di Teddy Egonwman, presidente dell’associazione dei nigeriani campani, che da tempo si batte contro lo spaccio di droga nella zona e il traffico di esseri umani.
21 AGOSTO 2008
Ramis Doda, 25 anni, originario di Diber, in Albania, si trova davanti alla sala giochi «Freedom» quando due sicari lo affrontano armi in pugno e lo uccidono davanti a decine di ragazzi.
12 SETTEMBRE 2008
Ernesto Fabozzi e Antonio Ciardullo, quest’ultimo titolare di una ditta di trasporti, vengono ammazzati mentre si trovano all’interno di un’autofficina, a poca distanza dal cimitero di San Marcellino. I due, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, sono stati sorpresi alle spalle dai sicari e freddati con almeno venti colpi di pistola. Ciardullo aveva piccoli precedenti per gioco d’azzardo.
15 SETTEMBRE 2008
Alle 21,30, sulla strada provinciale che da Trentola Ducenta porta a Ischitella, il commando camorrista apre il fuoco contro l’abitazione del proprietario della discoteca «Millennium». Sono esplosi oltre cinquanta colpi di kalashnikov.
16 SETTEMBRE 2008
Alle 3,50 del mattino, in via Aversa di Villa Literno, la saracinesca del supermercato «Md» viene bucata da una sventagliata di mitra
17 SETTEMBRE 2008
A mezzanotte, in viale Liberta, a Lusciano, un commando, arrivato a bordo di una «Fiat Punto», munita di lampeggiante, esplode numerosi colpi di fucile mitragliatore contro le vetrine del mobilificio «Aversa».
18 SETTEMBRE 2008
All’una del mattino, venivano esplosi colpi di fucile mitragliatore contro il caseificio «Olimpica», a Lusciano.
18 SETTEMBRE 2008
La mattanza di San Gennaro: sei immigrati di nazionalità nigeriana muoiono sotto un centinaio di colpi di kalashnikov, esplosi dai componenti del commando assassino a Castelvolturno. Un’altra vittima, l’italiano Antonio Celiento, titolare di una sala giochi a Baia Verde, viene massacrata dagli stessi sicari qualche ora prima. Il movente della strage non è chiaro, per qualcuno si tratterebbe di un avvertimento alla mafia «nera» per la gestione del traffico di stupefacenti sul litorale domizio, ma troppe cose non tornano. L’uccisione di Celiento, invece, rientrerebbe in un regolamento di conti tutto interno alla cosca casalese, a cui l’uomo sarebbe appartenuto. Il giorno dopo l’agguato, si scatena l’inferno: un migliaio di africani scende in piazza a protestare e per chiedere più tutela dallo Stato italiano. I reparti mobili di polizia e carabinieri, in assetto anti-sommossa, fronteggiano a malapena l’ondata di manifestanti che si snoda lungo la Domiziana. È un caso che infiamma le comunità di immigrati di tutto il Paese e che scuote le coscienze degli italiani, tanto che i magistrati della Procura napoletana antimafia parlano apertamente di modalità terroristiche.
2 OTTOBRE 2008
Lorenzo Riccio, ragioniere di una ditta di pompe funebri di Giugliano, viene freddato a colpi di kalashnikov: per gli inquirenti è una vendetta dei Casalesi nei confronti del titolare dell’azienda, che negli anni Novanta aveva denunciato alcuni camorristi per il «racket del caro estinto».
5 OTTOBRE 2008
Un altro parente di un pentito trucidato dai killer del clan: si tratta di Stanislao Cantelli, 69 anni, zio dei pentiti Luigi e Alfonso Diana, ammazzato a Casal di Principe intorno alle 9 del mattino, davanti a un circolo ricreativo. I killer sono entrati in azione tra la gente, esplodendo in totale 14 colpi di pistola. I nipoti della vittima, alcuni giorni prima dell’agguato, avevano contribuito con le loro dichiarazioni a far scattare una maxi-retata nei covi dell’organizzazione che aveva portato all’arresto di centosette persone.
(Tratto dal libro "Attacco allo Stato", Forumitalia edizioni)
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Salve,sono la nipote del defunto Antonio Celiento,tengo a precisare che quello che avete scritto su mio zio sono tutte bugie...e invenzioni per trovare una motivazione a quell'assassinio ingiustificato.Vorrei riferire alla persona che scrive gli articoli che si andasse ad informare da fonti sicure prima di scrivere cazzate come quelle che ha scritto nell'articolo.inoltre tengo a precisare che mio zio non apparteneva a nessun clan e inoltre non ha mai fatto rapine e furti.attendo le scuse in merito alle bugie che avete scritto...
RispondiEliminaNon conosco il suo nome, ma sono sinceramente dispiaciuto che il passaggio su suo zio abbia riaperto il dolore per una ferita che, immagino, sia profondissima.
RispondiEliminaNon c'era alcun intento diffamatorio nei confronti della memoria di suo zio, mi sono semplicemente limitato a riportare la pista battuta dagli investigatori per spiegare l'omicidio (oltre a quella emersa nel corso delle indagini che lo volevano un confidente di polizia).
Sono comunque a sua disposizione per pubblicare una rettifica sul blog, qualora mi fornisse indicazioni più precise al riguardo.
ps: non ho mai riportato la notizia che suo zio fosse autore di rapine o furti, come lei erroneamente scrive nel suo commento
sdm