venerdì 11 settembre 2009

Sotto chiave l'impero dei Casalesi


Non c’è gruppo criminale, in Italia, che abbia subito così tanti attacchi sul fronte patrimoniale come i Casalesi: negli ultimi tre anni, la magistratura ha confiscato a capi e fiancheggiatori del clan beni per oltre 130 milioni di euro, soltanto sulla base delle informative del centro Dia di Napoli.
Altri quattrocento milioni sono stati sequestrati al termine di complesse indagini finanziarie, che hanno ricostruito provenienza e destinazione di fiumi di denaro sporco che gli uomini dell’organizzazione hanno investito in ogni forma di attività economica conosciuta: ristorazione, turismo, ecologia, finanza, grande distribuzione, edilizia.
Il record appartiene al blitz che ha portato al sequestro di un tesoro da 150 milioni di euro riconducibile a Gaetano Iorio, imprenditore nei settori dell’edilizia e del calcestruzzo. Gli uomini della Direzione investigativa antimafia sono riusciti, infatti, a dimostrare che in appena sei anni (dal 1999 al 2005), Iorio aveva accumulato ricchezze enormi e non giustificabili: quote societarie, aziende, appartamenti, conti correnti, polizze assicurative, mezzi agricoli, decine di auto di grossa cilindrata, impianti di produzione del cemento e betoniere.
Una struttura economica gigantesca, che operava in ambito regionale e nazionale, avvalendosi del «braccio militare» della cosca per distorcere le dinamiche della concorrenza e per abbattere ogni forma di opposizione al suo dominio sul mercato.
Settantotto milioni di euro è invece il valore dei beni confiscati all’avvocato Cipriano Chianese, imprenditore nello smaltimento rifiuti, con una solida reputazione di «uomo d’onore».
Grazie all’appoggio assicuratogli dalla camorra casertana, Chianese ha operato in regime di quasi monopolio nel settore, riuscendo ad ammassare una fortuna disseminata tra la Campania e il Lazio, nella quale figurano: l’azienda Resit (con gli stabilimenti e le discariche di Gricignano d’Aversa, Parete e Giugliano), la società Griciplast; dieci appartamenti tra Roma, Sperlonga e Caserta; un albergo a Formia, dieci appezzamenti di terreno tra Casagiove, Parete e Giugliano; oltre a titoli e contanti depositati in vari istituti di credito del Casertano che da soli valgono circa venti milioni di euro.
Nel decreto di confisca del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, si legge che «sono stati raccolti significativi elementi per ritenere che Cipriano Chianese abbia agito quale intermediario, trasportatore e smaltitore dei rifiuti illecitamente conferiti nel territorio campano, nell’interesse patrimoniale del clan dei Casalesi; che abbia fatto da tramite tra i singoli partecipanti e i vertici del clan, sfruttando illecitamente i mandati difensivi allo scopo conferiti; che abbia finanziato il sodalizio con periodiche ed ingenti elargizioni di denaro, stipulando – altresì – patti elettorali con i capi-zona dell’organizzazione, diretti a condizionare il voto e a sostenere la propria candidatura a fronte della promessa di un impegno nella realizzazione di un disegno politico favorevole agli interessi dell’organizzazione mafiosa».
La strategia di investimento della cosca, però, non si ferma ai soli insediamenti industriali, ma copre un intero ventaglio di opzioni: c’è chi ha deciso di investire nel «mattone», chi nei servizi finanziari alle imprese e chi nelle strutture ricettive. Come, ad esempio, ha fatto il boss casalese Francesco Borrata, al quale è stato confiscato un intero complesso turistico, che si trova a Castelvolturno, del valore di circa sette milioni e mezzo di euro: si tratta dell’hotel «Royal Domitio», che si sviluppa su tre livelli, con 37 stanze, una hall, due sale ristoranti per circa 300 coperti, una discoteca e una piscina.
Non più fortunato è stato il cugino del boss «Sandokan», Saverio Paolo Schiavone, a cui lo Stato ha strappato beni per cinque milioni di euro, tra cui quindici terreni, due fondi rustici, un appartamento e un fabbricato rurale di oltre mille metri quadrati, a cui si accede attraversando un enorme cancello su cui campeggia la lettera «S» di Schiavone e sul quale campeggia la testa scheletrica di un bufalo. Al famigerato padrino Francesco Bidognetti, soprannominato «Cicciotto ‘e mezzanotte», sono stati confiscati invece due aziende bufaline, un appezzamento di terreno, presso Santa Maria la Fossa e un fabbricato a Casal di Principe, del valore di circa due milioni di euro.
Quelli che avevano deciso di riciclare i capitali illeciti del clan grazie all’edilizia residenziale sono stati i «luogotenenti» casalesi Carmine Matuozzo e Otello, Filippo e Raffaele Capaldo, esponenti del gruppo capeggiato dal boss Michele Zagaria, al quale gli «007» della Dia hanno sequestrato 22 appartamenti, 9 aziende, conti correnti e auto di lusso, per un valore di circa ventitré milioni di euro.
(Tratto dal libro "Attacco allo Stato", Forumitalia edizioni)

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