mercoledì 9 settembre 2009

Bazooka contro gli investigatori


I capi latitanti dei Casalesi «avrebbero minacciato di morte alcuni investigatori, ipotizzando anche attentati in danno di uffici investigativi. Tali messaggi appaiono, allo stato, non privi di fondamento». È l’allarme contenuto nella circolare che, agli inizi di agosto, i ministeri dell’Interno e della Difesa hanno diramato a questure, comandi dei carabinieri e squadre speciali delle forze dell’ordine che si occupano del temibile clan casertano. La cosca, secondo le informazioni in possesso dei servizi di sicurezza, avrebbe progettato l’uso di armi da guerra e, in particolare, di potenti «lanciarazzi» contro gli apparati inquirenti che, da almeno un anno a questa parte, stanno lavorando per smantellare le ali militare ed economica della holding criminale. Nel mese di luglio, infatti, un carabiniere della compagnia di Casal di Principe aveva ricevuto, sul proprio telefono cellulare, cinque sms di minacce provenienti, secondo gli investigatori, proprio da esponenti della criminalità organizzata cittadina.
Si ripeterebbe, in pratica, quella stessa folle tattica dell’orrore che sperimentarono i Corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano agli inizi degli anni Novanta, quando la conferma in Cassazione delle condanne del primo maxi-processo mise in seria difficoltà la commissione regionale di Cosa nostra, obbligandola a difendersi attaccando. Anche per i Casalesi, si è ipotizzato un collegamento tra l’escalation di violenza in Terra di Lavoro e la sentenza d’appello «Spartacus», che ha confinato all’ergastolo i padrini del vecchio gruppo dirigente, a due dei quali – Francesco Sandokan Schiavone e Francesco Bidognetti – è stato recentemente inasprito il regime di carcere duro con l’isolamento totale per sei mesi. All’origine del provvedimento, si legge nel documento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, l’accusa di «non aver impedito la mattanza realizzata negli ultimi mesi dal clan di Casale, che ha portato avanti una strategia del terrore, uccidendo anche testimoni e collaboratori di giustizia». Un particolare che, dunque, collega in un flusso mai interrotto di informazioni e di direttive i padrini detenuti e il resto dell’associazione, attribuendo la paternità degli attentati di questi ultimi mesi a decisioni congiunte di boss ergastolani e super-latitanti. I quali ultimi, adesso, avrebbero ipotizzato la sfida diretta al cuore dello Stato.
(Tratto dal libro "Attacco allo Stato", Forumitalia edizioni)

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