mercoledì 19 agosto 2009
La criminalità organizzata in Abruzzo
Tutto inizia con la denuncia pubblica dell’allora direttore del Parco nazionale d’Abruzzo, Franco Tassi. Era il 17 novembre 1990: «Il rischio che interessi criminosi, legati alla camorra, tentino di nuovo l’assalto al Parco Nazionale d’Abruzzo, oggi più che mai possibile, è tutt’altro che ipotetico e va subito denunciato, senza mezzi termini, perché la magistratura e tutte le forze sane contribuiscano a scongiurarlo». Diciannove anni e 281 morti dopo, i clan napoletani tornano all’attacco, consapevoli che – in una terra sconquassata da un tremendo terremoto, così come accadde in Irpinia nel 1980 – le occasioni di «business» sono parecchie e ghiotte. D’altronde, le stesse informative delle forze dell’ordine e le indagini della magistratura riescono a offrire uno spaccato assolutamente realistico della capacità di penetrazione dei capitali mafiosi nel settore dell’edilizia abitativa e del relativo indotto: movimento terra, manodopera e cemento, solo per citare le attività gestite da aziende apparentemente legali, ma che operano – invece – come paravento di ricche e agguerrite organizzazioni mafiose. I clan storicamente più attivi su questo fronte sono i Casalesi (che si sospetta abbiano avuto un ruolo anche nella ricostruzione in Umbria), i Di Lauro, i Nuvoletta, i D’Alessandro e le famiglie dell’area Vesuviana (i Fabbrocino, i Veneruso e i Sarno, soprattutto). Tutti accomunati da una strategia di dissimulazione particolarmente difficile da scoprire dagli organi inquirenti: le ditte edili della camorra hanno il certificato antimafia, mantengono contabilità perfette e vincono le gare e gli appalti pubblici non con il ricorso alla violenza, ma seguendo il principio (legale) del massimo ribasso. Un meccanismo reso possibile dalle ingenti risorse finanziarie a loro disposizione.
Gli inquirenti hanno già accertato simili operazioni di «aggressione economica» in Toscana (con il clan Formicola di San Giovanni a Teduccio), in Emilia Romagna (con alcuni affiliati alla famiglia Zagaria) e in Veneto (con «picciotti» dell’Alleanza di Secondigliano), ma la mappa degli investimenti e degli interessi è certamente molto più estesa.
A rendere particolarmente critica la situazione del dopo-sisma, comunque, c’è la circostanza che negli ultimi anni – come testimoniato dalle risultanze investigative e dai numerosi arresti effettuati – sono state scoperte in Abruzzo «cellule» di clan campani particolarmente attive sul fronte del traffico di stupefacenti, che potrebbero aver agito come «testa di ponte» per il successivo radicamento sul territorio di strutture più complesse – attività imprenditoriali, commerciali e finanziarie di estrazione camorristica – in grado sfruttare ogni occasione utile (appalti, subappalti, gare) per infiltrarsi nel tessuto socio-economico regionale e impiantarsi stabilmente.
(Pubblicato sul quotidiano "Il Roma")
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