venerdì 28 agosto 2009

Ecologia, business e mafie straniere


E se il business del futuro della mafia internazionale – quella che opera ai più alti livelli dell’economia criminale europea e mondiale – non fosse più la droga, ma lo stoccaggio e il traffico di rifiuti tossici?
A leggere le relazioni degli apparati investigativi nazionali e scorrendo le inchieste della magistratura, negli ultimi venti anni, il sospetto sembra essere legittimo, tanto più in considerazione del sempre più stretto rapporto che le holding malavitose straniere stanno stringendo con i gruppi criminali del nostro Paese per spartirsi affari miliardari a basso livello di rischio.
I processi per ecomafia che hanno portato alla sbarra i «colletti bianchi» del potente clan dei Casalesi, collettore mafioso-imprenditoriale dei veleni raccolti in tutt’Italia e sversati illegalmente in provincia di Caserta, potrebbero essere soltanto l’apice di una struttura sotterranea ancora più ramificata, capace di trasportare da e per l’Italia ingenti quantitativi di sostanze tossiche e rifiuti speciali, da occultare in aree abbandonate.
Già nel 1995, ad esempio, una indagine della Procura di Palermo portò all’arresto di sette faccendieri – accusati di associazione mafiosa finalizzata allo smaltimento clandestino di rifiuti tossici – in contatti con una misteriosa società svizzera. Il gruppo, secondo le risultanze investigative, avrebbe raccolto rifiuti tossici in Italia e all’estero per poi nasconderli in cave dismesse in Piemonte e in Sicilia.
Il ruolo della mafie straniere potrebbe essere proprio quello di «vettori» dei rifiuti tossici in entrata e in uscita dalla Penisola, una sorta di «vigili» di questo immenso traffico che viaggia per mare e per terra, in accordo con le organizzazioni criminali italiane nel ruolo di promotori e co-gestori del business.
Ma perché le mafie italiane avrebbero bisogno di quelle straniere in questo folle progetto criminale? Semplice: in Italia i controlli delle forze dell’ordine e della magistratura sono sensibilmente aumentati, negli ultimi tempi, e l’attenzione al fenomeno delle eco-mafie si sta rafforzando (il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, ha proposto ultimamente l’istituzione del reato associativo ambientale, facendolo rientrare nelle competenze degli uffici distrettuali antimafia); ma in Ungheria, in Africa, in Albania, nei Paesi in via di sviluppo chi può controllare che cosa viene sversato nelle discariche? Le capacità di corruzione delle mafie di esportazione sono impressionanti e potrebbero essere utilizzate proprio per «narcotizzare» eventuali attività investigative nei loro paesi d’origine.
D’altronde, ci sarebbe anche un precedente a suffragare questa ipotesi, che circola ormai da tempo negli ambienti giudiziari e investigativi italiani: negli anni Novanta, una nave carica di rifiuti tossici, diretta in Romania, venne fermata nel porto di Genova e posta sotto sequestro; altri due natanti, dello stesso tipo, erano riusciti a giungere a destinazione, appena poche settimane prima. A gestire il malaffare sarebbero stati gruppi affaristici legati alla criminalità organizzata. Solo un’anticipazione di quello che accadrà?

Nessun commento:

Posta un commento