Michele Bidognetti, l’ultimo capo in libertà dell’ala stragista dei Casalesi, lo hanno arrestato ieri, all’alba, gli uomini della Dia nella sua abitazione a Casal di Principe: per la Procura antimafia di Napoli è il reggente del clan, nonché il fedele «ufficiale di collegamento» con il fratello detenuto, il boss Francesco Bidognetti, soprannominato «Cicciotto ’e mezzanotte», dal quale – attraverso bigliettini manoscritti e colloqui in carcere – prendeva ordini da affidare a «picciotti» e taglieggiatori. E proprio la lunga scia di «pizzini» e di intercettazioni ambientali hanno portato gli investigatori a delineare un quadro accusatorio in cui la figura di Michele Bidognetti assume il ruolo di colonna portante di una potente famiglia mafiosa, colpita a morte dalle ultime inchieste della magistratura, ma non ancora sradicata dall’hinterland casertano. A lui era stata affidata la gestione del traffico di droga sul litorale domizio e il coordinamento delle «paranze» di estorsori che rastrellano, settimana dopo settimana, mese dopo mese, negozi e piccole imprese artigiane della zona per incassare la «tassa della tranquillità».
Di Michele Bidognetti – ufficialmente disoccupato, ma con una passione sfrenata per il lusso e le auto di grossa cilindrata – aveva parlato, recentemente, l’ex cognata, Anna Carrino, passata a collaborare con la giustizia. Nel corso di un interrogatorio davanti ai magistrati, la donna – che era stata legata sentimentalmente a Francesco Bidognetti – aveva infatti dichiarato: «Per quanto riguarda l’ammontare delle somme che tendenzialmente dovevano essere distribuite fra le famiglie dei detenuti e dovevano servire per la copertura delle spese legali, non sono in condizione di fornire notizie o precise perché non me ne occupavo direttamente. Posso dire che Michele Bidognetti mi diceva che con 120mila euro mensili lui comunque non riusciva assolutamente a coprire le spese. Va considerato che come ho riferito, alcuni avvocati erano pagati mensilmente. Materialmente il danaro alle famiglie dei detenuti veniva distribuito da Michele Bidognetti il quale si avvaleva della collaborazione di alcuni ragazzi tra i quali Gino Grassia, Luigi Tartarone oppure Raffaele Maccariello».
Nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere – chiesta dai pm della Dda di Napoli, Giovanni Conzo e Raffaello Falcone – Bidognetti viene descritto come il naturale successore di Giuseppe Setola, il sanguinario killer che ha terrorizzato per mesi la provincia di Caserta, trucidando gli imprenditori che si ribellavano al racket e i familiari dei pentiti. Un ruolo operativo riconosciutogli soltanto di recente e motivato, con tutta probabilità, dalle decine di arresti che hanno decimato la holding criminale, rimasta priva dei suoi uomini più pericolosi e spregiudicati e, pertanto, costretta ad affidarsi anche a chi non ha mai potuto ambire ai gradi del comando. Con Setola a piede libero, infatti, Michele Bidognetti era relegato ai margini del clan – nonostante il legame di sangue con il gran capo, rinchiuso al 41bis – da cui otteneva, come forma di omaggio, uno stipendio di 5mila euro al mese.
Nel corso dell’inchiesta, gli uomini della Direzione investigativa antimafia di Napoli hanno sequestrato beni per oltre cinque milioni di euro (appartamenti, ville, terreni, negozi) e denunciato all’autorità giudiziaria dieci persone, accusate di intestazione fittizia di beni. Avrebbero, in pratica, agevolato il processo di riciclaggio del denaro sporco della cosca, figurando come proprietari e titolari di attività economiche nelle dirette disponibilità dei capi-camorra.
(Pubblicato su Terra, 30 aprile 2009)
venerdì 1 maggio 2009
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