martedì 26 maggio 2009

I riti di affiliazione mafiosa


C’è chi ricorre a simboli e liturgie dal sapore medievale e chi, invece, sigla la pace mangiando, a mani nude, insieme al proprio nemico, le teneri carni di animali protetti. È il complesso (e oscuro) mondo dei giuramenti della criminalità organizzata, su cui la magistratura ancora non è riuscita a fare piena luce a causa delle difficoltà e dell’omertà che lo circondano.
Uno dei più famosi è quello riguardante la Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, padrino della malavita napoletana immortalato nel film «Il camorrista» di Giuseppe Tornatore: è noto anche come giuramento di Palillo, perché fu sequestrato a un camionista, Antonio Palillo, appunto, mentre questi entrava nel carcere di Novara, nascondendo in tasca una cassetta su cui lo stesso Cutolo aveva registrato la formula di affiliazione: «Il 24 ottobre nel castello mediceo di Ottaviano, sette cavalieri della camorra si abbracciarono in un serio giuramento, raccolsero il sangue dell’onorata società… giuro sul mio onore di essere fedele alla Nco che è nata nel 1970 il 24 ottobre nel castello mediceo di Ottaviano come la Nco è fedele a me».
Il codice della ’Ndrangheta, invece, è stato ritrovato, nel marzo del 1993, durante una perquisizione a un pregiudicato, che lo nascondeva nel portafogli: si tratta di sei pagine, scritte con inchiostro blu, contenenti le domande e le risposte per il battesimo di sangue. Solo due anni dopo, un pentito racconterà che, per avere effetto, nel pronunciare la formula del giuramento, il picciotto «deve poggiare la mano sinistra con il palmo rivolto verso il basso, sulla punta di un coltello tenuto dal “maestro di giornata”, mentre gli altri presenti poggiavano la loro mano sinistra su quella del nuovo entrato». Al termine della cerimonia, il nuovo associato dovrà bruciare un santino di San Michele Arcangelo, protettore della ’Ndrangheta, e sottoporsi al rito della «pungitina», con il quale mischia il suo sangue a quello degli altri uomini d’onore.
La mafia calabrese possiede, inoltre, un altro rito particolarmente misterioso, di cui si è venuti a conoscenza solo nel settembre del 2008, nel corso di un maxi-blitz del Ros dei carabinieri che portò in manette duecento trafficanti di droga in Italia e all’estero. Le intercettazioni ambientali hanno svelato, infatti, che le famiglie della Locride, quando hanno necessità di un incontro pacificatore, ricorrono a pranzi in montagna a base di ghiri illegalmente uccisi. Le carni dell’animale vengono sistemate in un unico piatto al quale attingono i capi delle famiglie in lotta, per sancire l’alleanza.
La Sacra Corona Unita, al contrario, utilizza una espressione molto più stringata che fa esplicito riferimento alla struttura criminale della famiglia: «Giuro di disconoscere padre, madre, fratelli e sorelle, nell’esclusivo interesse dell’organizzazione».
E arriviamo a Cosa nostra, i cui rituali di affiliazione sono stati raccontati dal pentito Tommaso Buscetta, nel lontano 1984: «Si brucia una santina, la si passa mano nella mano dopo aver punto un dito, si presta giuramento con la formula: “Brucino le mie carni come questo santino se tradisco”, quindi c’è l’accoglimento da parte del capodecina, che deve essere sempre un uomo d’onore». Determinante, per Buscetta, è «l’“esperimento” con cui si dimostra di aver carattere e coraggio, di essere disposto a tutto. Nel momento in cui si è chiamati dal proprio rappresentante o capodecina per eseguire qualcosa di importante, si deve lasciare anche la moglie partoriente. Nessuno, infatti, ha mai potuto dire: “Mi sono stancato di voi, adesso me ne vado”, nessuno ha mai potuto dire questo. In Cosa nostra si entra, ma non si esce. Se non da morti».
(Pubblicato su Terra, maggio 2009)

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