lunedì 4 maggio 2009

I super-latitanti casalesi


RAFFAELE DIANA

Il boss Raffaele Diana, condannato all’ergastolo nel processo d’Appello “Spartacus”, è nato il 16 settembre 1953 a San Cipriano d’Aversa. Conosciuto all’anagrafe di camorra con il soprannome di Rafilotto, è evaso nell’aprile del 2004 dal carcere modenese di Sant’Anna, dove stava scontando una precedente condanna a sette anni di reclusione per racket. Ha approfittato di un permesso premio, in occasione delle festività di Pasqua, e si è allontanato: secondo la magistratura, il capoclan avrebbe insediato una colonia di malavitosi casertani in Emilia Romagna con l’obiettivo di taglieggiare gli imprenditori edili e costringerli, anche con attentati e gambizzazioni, al pagamento di una tangente che variava a seconda dell’entità dell’appalto, ma che non scendeva mai – comunque – al di sotto dei 25mila euro. Gli inquirenti lo indicano come uno dei reggenti dell’organizzazione criminale, tra i più spietati in circolazione: il suo nome compare nelle prime informative sui Casalesi, agli inizi degli anni Ottanta, insieme a quelli di Francesco Schiavone, Francesco Bidognetti, Mario Iovine e Nunzio De Falco. Alcuni pentiti lo hanno indicato come uno degli autori dell’omicidio di Paride Salzillo, nipote prediletto del boss Antonio Bardellino. Nel luglio scorso, si è parlato di Diana a proposito della scoperta di un rifugio bunker a Casal di Principe. Il covo, largo oltre tre metri ed alto poco più di due, era stato costruito nel vano sottoscala del piano interrato dell’abitazione di un 31enne del posto, ed era raggiungibile attraverso una botola scorrevole ricavata nel pavimento e nascosta da un mobile libreria. Un altro rifugio del padrino era stato scoperto, agli inizi del 2008, nell’abitazione del latitante dai carabinieri, che avevano trovato un doppiofondo nella parete della cucina, sufficiente a nascondere una persona.
(Raffaele Diana è stato arrestato dagli agenti della Squadra mobile di Caserta la sera del 3 maggio 2009)


MICHELE ZAGARIA

Michele Zagaria, nato a San Cipriano d’Aversa il 21 maggio 1958, è ricercato dal 1995 in Italia per associazione di stampo mafioso, omicidio, estorsione e rapina e dall’8 febbraio 2000 in campo internazionale. La sua prima cattura risale al 1989, ma già due anni dopo riesce a ottenere gli arresti ospedalieri, presso la clinica «Sanatrix», da dove evade quasi subito. Nell’aprile del 1991 la polizia lo ferma, a Casapesenna, a bordo di un’auto imbottita di armi: nel bagagliaio della vettura nascondeva quattro pistole e una mitraglietta Uzi di fabbricazione israeliana.
Nel dicembre del 1992, gli agenti della sezione «Prevenzione crimine» gli sequestrano tre ville per circa 3mila metri quadrati, lussuosamente rifinite con marmi pregiati e pavimenti in parquet, oltre a una palazzina di tre piani, a Casapesenna, che al piano terra ospitava la locale agenzia del Banco di Napoli. Il suo potere criminale cresce di pari passo con il potere economico della famiglia, a cui il cartello Casalese affida l’intera gestione del ciclo edilizio. Il 24 luglio del 1998, esce indenne dall’inchiesta sulla strage di Torre Annunziata, ma già da tre anni è sparito dalla circolazione. Il suo nome ricompare nelle pagine di cronaca locali quando, il 22 giugno 2006, la Procura antimafia di Napoli scopre che i proventi illeciti del boss vengono investiti nel settore degli appalti pubblici e nell’acquisto di immobili di lusso in Emilia Romagna e in Lombardia. Quell’inchiesta aprì uno squarcio anche nei rapporti tra clan e politica in provincia di Caserta, perché si accertò che il clan aveva appoggiato e fatto eleggere alcuni uomini di «fiducia» alle ultime elezioni amministrative (nelle intercettazioni, i camorristi si riferivano ai candidati parlando di «cavallucci»). In quell’occasione, furono sequestrati beni per circa 50 milioni di euro appartenenti ai prestanome della organizzazione.


ANTONIO IOVINE

Antonio Iovine, soprannominato «‘o ninno», il «piccolino», è nato a san Cipriano d’Aversa il 20 settembre 1964: è ricercato in ambito nazionale dal 1996 per omicidio e dal 10 luglio 1999 a livello internazionale. Nipote del boss Mario Iovine, indicato dai pentito come il killer del padrino Antonio Bardellino, a soli 27 anni viene ferito in una sparatoria con i carabinieri, nelle campagne di Frignano. I complici che erano con lui avevano aperto il fuoco sui militari utilizzando fucili a pompa e pistole di grosso calibro. Scarcerato dopo due anni, viene arrestato nuovamente nell’aprile del 1994 per duplice omicidio: un pentito, Antonio Pugliese, lo accusa di aver assassinato il 25 maggio 1988 Giuseppe Tambaro e il 26 giugno di un anno dopo Rosario Sequino, entrambi affiliati alla Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Dopo due mesi, il Tribunale del riesame, però, smonta la ricostruzione della Procura e lo libera, ritenendo non sufficienti le dichiarazioni del collaboratore di giustizia per trattenerlo in galera. Da quel momento, di Antonio Iovine si perdono le tracce: finiscono nella rete, uno a uno, alcuni dei suoi uomini di fiducia: fiancheggiatori, manager del crimine, killer e prestanomi. Ma lui, il padrino, resta imprendibile. Il 26 maggio 2008, una inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli smantella la rete di porta-ordini di Iovine, all’interno della quale figura anche la moglie, Enrichetta Avallone. Nell’abitazione del boss, gli investigatori trovano pellicce, mobili di lusso, orologi e gioielli di valore che non è stato possibile sequestrare perché ogni oggetto era accompagnato da un bigliettino di auguri che ne dimostrava la lecita «provenienza». Erano regali di amici e conoscenti.

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