mercoledì 14 luglio 2010

Il demanio della "camorra spa"

Nella pancia dei Comuni campani e di quello di Napoli, in particolare, c’è di tutto: negozi, ville, appartamenti, mezzanini, terranei e box auto. È il «demanio della camorra spa» che lo Stato ha strappato alle grinfie di killer, spacciatori e narcotrafficanti dopo lunghe e travagliate gestazioni nelle aule di tribunale, dove gente che non ha mai lavorato e che non sa cosa significhi la parola «dichiarazione dei redditi» si è trovata a giustificare (spesso, senza successo) la proprietà di dimore estive e palazzi d’inverno, abitazioni da centinaia di metri quadrati e super attici che si affacciano su rioni degradati e strade tappezzate di siringhe e immondizia.
Tesori oggi quasi dimenticati, che dovrebbero essere destinati ad attività di carattere sociale ma che, purtroppo, dormono i sonni inquieti dell’abbandono nei cassetti di burocrati e politici, perché non ci sono soldi per le ristrutturazioni e perché è molto più facile promettere che mantenere.
«L’ultima ricognizione, effettuata con l’assessore alla Legalità, Luigi Scotti, parla di 43 beni confiscati disponibili in città», commenta Sandro Fucito, presidente della commissione Legalità del Consiglio comunale di Napoli, «ma negli ultimi quattro anni, a voler essere generosi, ci sono state sì e no dieci assegnazioni definitive. Un numero insignificante». Colpa dei ritardi, ma non solo. «Al Comune arrivano gli “scarti”», continua Fucito, «perché gli immobili migliori, quelli cioè che non sono stati vandalizzati o addirittura distrutti prima della confisca, vengono opzionati dai livelli istituzionali superiori». Eppure, materiale su cui lavorare ce ne sarebbe: alla Direzione distrettuale antimafia ci sono tre sostituti procuratori che si occupano, in maniera specifica, di indagini patrimoniali e la lista di beni sequestrati e successivamente confiscati si allunga giorno dopo giorno.
«Aggredire i patrimoni è la chiave di volta per demolire il potere camorristico», commenta il procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico, coordinatore della Dda partenopea, «anche se poi è necessario non abbandonare questi beni al loro destino, perché il rischio è che passi il messaggio che la camorra possiede una capacità di gestione più efficiente di quella dello Stato».
A Luigi Giuliano, l’ex boss del rione Forcella amico di Diego Armando Maradona, e ad un altro paio di pericolosi camorristi come Gennaro Mazzarella del rione Mercato ed Edoardo Contini, manager dell’Alleanza di Secondigliano, solo per fare un esempio, hanno confiscato nel giro di un decennio 35 appartamenti del valore complessivo di cinque milioni di euro. Soltanto tre sono stati riutilizzati per fini sociali, pur tra mille difficoltà. Il resto sta a marcire d’umidità e di ricordi macchiati di sangue e sopraffazione.
E laddove sembra che la destinazione sia stata individuata e risolto (quasi) ogni problema, arrivano i ritardi della Pubblica amministrazione a complicare tutto, come nel caso della villa hollywoodiana dell’ex contrabbandiere Michele Zaza, a Posillipo, che a distanza di cinque anni ancora aspetta di diventare la nuova sede del locale commissariato di polizia, a causa di una serie di mancate autorizzazioni.
Non bastano, naturalmente, i soldi stanziati dalla Regione Campania e quelli assicurati dai fondi del Piano sicurezza per rimettere tutto a posto: negli ultimi cinque anni, su 1276 beni immobili confiscati, ne sono stati ristrutturati solo 35 (appena il 2 per cento) con una spesa complessiva di 11 milioni e mezzo di euro. Ai quali, nel novembre 2009, la giunta dell’allora governatore Antonio Bassolino aveva promesso si sarebbero affiancati finanziamenti integrativi per ulteriori 150 milioni, che – fino ad oggi – sono stati diluiti nel «mare monstrum» delle buone intenzioni. E pensare che le idee (e gli esempi concreti) non mancano: a Contursi Terme si lavora per ripristinare un antico sito termale in una proprietà del clan Marrandino; a Pignataro Maggiore si punta sulla produzione agricola in un sito un tempo della famigerata famiglia Nuvoletta di Marano; a Casal di Principe potrebbe nascere un ostello della gioventù nella villa confiscata al boss latitante Mario Caterino e a Santa Maria Capua Vetere dovrebbe sorgere un’area museale. A Ercolano, un gruppo di coraggiosi studenti universitari ha dato vita a «Radio Siani», una stazione radio web che si occupa di legalità, in un appartamento confiscato al boss del rione, dov’è facile ancora oggi imbattersi in passaggi segreti e nascondigli dove un tempo trovavano ospitalità latitanti e partite di droga o di armi. «Quando andiamo al bar qui vicino, i camorristi ci guardano ancora come gli alieni», confida uno dei ragazzi, «ma ormai non ci facciamo nemmeno più caso».
L’ultimo dibattito sul tema dei beni confiscati alla criminalità organizzata ruota attorno alla proposta di venderli all’asta, col rischio – condividono magistrati ed economisti – che i padrini possano riacquistarli attraverso uomini di fiducia, riaffermando così il proprio potere e il proprio prestigio agli occhi degli affiliati e dimostrandosi, di fatto, superiori alla legge.
Per fortuna, c’è anche qualcosa di buono che funziona, come il progetto la «Vigna don Peppe», nel Casertano, che produrrà – grazie alla collaborazione con Coldiretti – il vino «Don Peppe», in memoria di don Peppe Diana, il sacerdote ucciso dalla camorra. Le vigne cresceranno nei terreni strappati ai tagliagole casalesi. Che sia il vino della rinascita?

1 commento:

  1. Purtroppo, in fatto di velocità, lo Stato riesce ad esserlo soltanto quando si tratta di aumentare le tasse ... e la burocrazia ... Coloro i quali dovrebbero facilitarci la vita, ce la complicano! Visto il lavoro che le Forze dell' Ordine stanno svolgendo in questi tempi, ci si augura che la Giustizia continui questo lavoro, senza che i "fascicoli si perdano in qualche luogo oscuro" e che "ci sia carta abbastanza" per stampare le sentenze...
    Tutto questo lavoro contro il Malaffare, però, risulterà ancora più una perdita di tempo se non si creano le condizioni affinchè i giovani del nostro territorio, per non morire di fame, siano costretti a delinquere o addirittura doversene andare ...

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