martedì 1 dicembre 2009
Il profilo criminale di Orlando Frizziero
Nipote del boss del Vomero Giovanni Alfano, Orlando Frizziero muore per overdose il 22 ottobre 1997 all’età di trentadue anni. È ricercato per rapina, a quel tempo, eppure le informative della Squadra mobile e del commissariato San Ferdinando lo descrivono, da almeno un lustro, come lo spregiudicato capo di una banda di taglieggiatori e spacciatori di droga, che cerca di affermarsi nel panorama criminale cittadino. La sua “roccaforte” è la Torretta, ma per evitare le manette, si nasconde a Fuorigrotta – dove, peraltro, ancora abitano suoi parenti – per alcune settimane.
Un’eccessiva dose di eroina, diranno i medici, gli provoca una crisi che, nel giro di poche ore, lo porta al decesso per arresto cardiocircolatorio. I poliziotti, allertati da una telefonata anonima, lo trovano in un appartamento, privo di sensi, e lo trasferiscono d’urgenza all’ospedale San Paolo, ma ormai è tardi. Il cuore ha cessato di battere e a nulla servono le manovre di rianimazione del personale medico. Alla notizia sul decesso, la struttura sanitaria viene presa d’assalto dai familiari e dagli affiliati e solo l’intervento delle forze dell’ordine riporta alla calma la situazione.
Il primo arresto di Orlando Frizziero porta la data del 1° luglio 1993, quando viene bloccato con l’accusa di tentata estorsione, porto e detenzione abusiva di armi e spari in luogo pubblico. Gli agenti di una volante lo riconoscono quale autore dell’attentato al ristorante “Ciro a Mergellina”, le cui vetrine sono state bersagliate da quattro colpi di pistola.
Frizziero, che all’epoca ha 28 anni, secondo la dinamica ricostruita dall’autorità giudiziaria, ha prima sparato contro la veranda del locale e poi è fuggito a bordo di una Opel Astra, guidata da un complice.
La detenzione nel carcere di Poggioreale dura appena qualche mese, però, perché già dal novembre di quello stesso anno, Orlando Frizziero è ricercato per un nuovo episodio di estorsione, stavolta ai danni di una impresa edile.
La fuga dura esattamente un anno: il 15 ottobre 1994, i poliziotti lo bloccano a pochi metri dall’abitazione in cui si è rifugiato insieme alla famiglia. Lo avvicinano, con discrezione, all’uscita da un taxi e gli chiedono i documenti. Frizziero esibisce una carta di identità contraffatta, ma è un estremo tentativo che non sortisce alcun effetto: uno degli agenti lo riconosce e per lui scattano le manette. Il suo complice già si trovava in galera.
Scarcerato in vista del processo, ritorna alla guida della banda della Torretta e, grazie agli appoggi della mala collinare, intensifica la vendita della droga in zona. Una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere per rapina lo costringe a lasciare il bunker di Chiaia e a trasferirsi a Fuorigrotta, dove muore da latitante.
Dopo la scomparsa di Orlando Frizziero, la famiglia – che conta un seguito tutto sommato limitato, seppur particolarmente feroce – trova comunque il modo di sopravvivere alle inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Napoli e alle cruenti lotte con i rivali, riuscendo - nel corso degli ultimi anni - a radicarsi sempre di più sul territorio e a diventare punto di riferimento per gran parte degli affari illeciti che transitano per il centro cittadino. Primo fra tutti il racket delle estorsioni.
L’ultimo dei giovani capi finito ai ceppi è Alvino Frizziero, 22 anni appena, catturato un anno e mezzo fa nell’abitazione di una zia paterna, a Barra. Sfuggito a un agguato in piazza Sannazaro, si era sottratto al provvedimento dell’autorità giudiziaria che lo aveva confinato per due anni in una casa lavoro.
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