mercoledì 2 settembre 2009

La nave dei veleni


La «nave dei veleni» continua a essere uno degli oggetti misteriosi della storia dell’Italia contemporanea: la prima tranche dell’inchiesta sul «Jolly rosso», il mercantile spiaggiato il 14 dicembre 1990 ad Amantea (Cosenza) che, si sospetta, trasportasse rifiuti tossici, è stata archiviata dal gip di Paola. I magistrati hanno accertato che non ci sono prove di contaminazioni chimiche e radioattive del litorale, però le indagini continuano in altre direzioni. In questi anni, infatti, la Procura si è mossa seguendo diversi filoni, uno dei quali – dicono fonti ben informate – potrebbe portare a clamorosi sviluppi. In particolare, sono state avviate attività investigative finalizzate a stabilire se le eventuali scorie nucleari siano state interrate in una zona più interna, nei pressi dell’alveo di un torrente del Comune di Serra d’Aiello. Ad avvalorare questa ipotesi, le decine di morti per neoplasie e tumori tra gli abitanti dell’area. L’inchiesta della Procura viene svolta col supporto di rilevazioni scientifiche affidate ad esperti chimici ed altro personale specializzato, che hanno presentato una serie di perizie ora al vaglio dei magistrati. Scopo dell’inchiesta è di accertare le responsabilità legate all’occultamento dei rifiuti e di procedere, al contempo, alla bonifica del territorio contaminato. Allo stato la magistratura sta procedendo per le ipotesi di reato di disastro ambientale, violazione delle legge sull’inquinamento e inquinamento delle acque.
L’intricata storia del «Jolly rosso», inoltre, sembra annodarsi con un altro «giallo» che viaggia lungo le rotte del traffico internazionale di rifiuti: il duplice omicidio della giornalista del Tg3, Ilaria Alpi, e dell’operatore Miran Hrovatin, avvenuto a Mogadiscio. Proprio il «corno d’Africa» sarebbe stato, infatti, il terminale di un monumentale business – lo smaltimento illegale di scorie e residui nucleari – a cui avrebbero partecipato importanti uomini d’affari (anche italiani) e i «signori della guerra» somali, finanziandolo con mazzette miliardarie e partite di armi.
Ilaria Alpi avrebbe pagato con la vita questa terribile scoperta. Una scoperta su cui – tredici anni dopo – si sarebbe soffermato anche un ex boss della ’Ndrangheta, in una intervista al Tg1, con queste parole: «Dietro allo smaltimento illegale dei rifiuti tossici c’è un flusso di denaro inimmaginabile. Non basta una finanziaria per spiegare i soldi che ci sono dietro questi traffici. Un traffico che è più remunerativo anche della droga. Siamo stati interpellati dal dirigente di un’industria per smaltire una marea di rifiuti radioattivi che usciva dai loro capannoni e che non potevano essere smaltiti come rifiuti legali. Diverse navi, diciamo qualche decina sono state affondate con il loro carico di rifiuti tossici e radioattivi. La Jolly rosso è una di queste. Tutto questo è avvenuto con l’appoggio della politica. Quando un magistrato ha per le mani un’inchiesta del genere riesce a fare quello che gli è permesso di fare».

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