martedì 1 settembre 2009

La mafia ha fatto poker


La «mafia spa» ha scoperto, con sin troppa disinvoltura, quant’è facile puntare sulle lotterie e sui giochi: profitti altissimi e rischi (praticamente) zero. Le inchieste antimafia delle procure di mezz’Italia disegnano una scenario in cui la criminalità organizzata sta infiltrandosi ai più alti livelli di amministrazione di un settore dai potenziali di sviluppo quasi illimitati. E questo accade a Napoli, a Palermo, a Catania, quanto a Roma, Reggio Calabria e Milano.
Ma partiamo dai dati: secondo i risultati di una indagine del Gruppo antifrodi tecnologiche della Guardia di finanza, ogni anno il volume di affari dei videopoker è di circa 44 miliardi di euro, dei quali – almeno la metà – risulterebbe clandestino, cioè non denunciato al Fisco. È stato calcolato, inoltre, che lo Stato avrebbe perso, negli ultimi tempi, un tesoretto di 98 miliardi di euro, tra imposte inevase e sanzioni non incassate, dalla mancata messa in rete telematica delle macchinette, la cui gestione è affidata a concessionarie che, emerge dalle investigazioni delle forze dell’ordine, sono controllate dalla malavita. Fin troppo facile capire come (e perché) la «bestia» si sia avventata sul business, sbranandolo. E se finora il lavoro della magistratura e degli organi di polizia giudiziaria è riuscito a creare un argine alla creazione di un vero e proprio monopolio mafioso per i giochi – parallelo a quello dello Stato – è solo perché ci si è accorti del problema giusto in tempo.
Il 23 novembre del 2006, ad esempio, la Procura di Bari arresta sei persone con l’accusa di aver organizzato un giro di schede «truccate» per videopoker distribuite in bar e «saloon» di Puglia, Calabria e Campania. Le macchinette venivano modificate in modo da aumentare la puntata minima da uno a cinque euro e alterare quella percentuale di vincita (che dovrebbe essere del 75 per cento per il giocatore) in modo da ridurla al minimo: c’è chi in due giorni ha perso fino a settecento euro. E ancora: il 27 aprile 2009, la magistratura partenopea smantella uno dei più potenti cartelli criminali (formato da famiglie campane e siciliane) specializzato nel riciclaggio di capitali illeciti dietro fiches, roulette e slot-machine. Vengono arrestate 29 persone, mentre finiscono sotto sequestro beni per 150 milioni di euro (100 immobili, 39 società commerciali, 23 ditte individuali, 104 auto e 140 conti correnti, oltre a decine di sale Bingo a Cassino, Milano, Cernusco sul Naviglio, Lucca, Padova, Brescia, Cologno Monzese, Cremona, e in provincia di Caserta e Frosinone). Le indagini hanno evidenziato il sistema per riciclare il denaro da parte di potenti clan camorristici come i Casalesi, i Misso, i Mazzarella e la cosca mafiosa dei Madonia. Le accuse contestate a vario titolo sono di associazione mafiosa, estorsione, riciclaggio, gioco d’azzardo, illecita concorrenza con minacce e violenza, interposizione fittizia nella titolarità di beni e aziende. Tutto ruota intorno alla figura di Renato Grasso, latitante, un personaggio di spicco già condannato negli anni ’90 per legami con i clan di Portici e di Fuorigrotta e nel maggio scorso destinatario di una ordinanza di custodia con l’accusa dir essere socio di Mario Iovine, uno degli ultimi super-latitanti dei Casalesi. L’uomo aveva maturato una forte esperienza nel settore della gestione illecita dei videopoker e delle new solt, una attività in cui ha detenuto praticamente per anni il monopolio in alleanza con quasi tutti i principali clan di Napoli e della provincia, sbaragliando la concorrenza grazie alla forza di intimidazione delle cosche. La sua «competenza» in materia è stata necessaria alla camorra napoletana, ai Casalesi e alla mafia siciliana che, anche grazie - come spiegano gli inquirenti - ai nuovi indirizzi politico-legislativi decisi a partire dal 2000 hanno approfittato dell’espansione del mercato dei giochi per reinvestire i proventi illeciti. E non è un caso, dunque, che l’8 novembre 2008, la Procura di Palermo abbia scoperto come il «braccio destro» del boss di Brancaccio, Andrea Adamo, avesse inventato un nuovo sistema per guadagnare vagonate di «piccioli», di soldi: i gratta e vinci di Cosa nostra.
(Pubblicato su "Terra")

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