domenica 18 aprile 2010

Sequestro record ai Casalesi

L’uomo che aveva trasformato i Casalesi da banda di tagliagole di provincia a holding economico-criminale, con interessi leciti e illeciti in ogni parte d’Italia, morì a poche settimane dalla sentenza del processo «Spartacus», cadendo misteriosamente da una terrazza priva di recinzioni. Una tragedia per la famiglia, una fortuna per il clan che, con la sua provvidenziale scomparsa, salvò il tesoro affidatogli in gestione. Ieri, il patrimonio di Dante Passarelli è nuovamente finito sotto sequestro nell’ambito di un’inchiesta antimafia che il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, non ha esitato a definire «la più grande operazione mai fatta nella storia della Repubblica italiana». Un impero valutato (e la stima è prudenziale, spiegano gli investigatori) oltre 700 milioni di euro, che nel 2004 era già stato sequestrato, salvo poi essere restituito ai figli dell’ex riciclatore perché, secondo la legislazione dell’epoca, la confisca dei beni era comunque legata alla condanna del soggetto colpito dal provvedimento cautelare.
Una nuova normativa (la legge del 24 luglio 2008, che consente allo Stato di riappropriarsi dei beni ereditati dai familiari di affiliati) e un complesso lavoro d’intelligence, che si è avvalso delle risultanze processuali e delle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, hanno però permesso di ricostruire, negli ultimi tempi, i flussi finanziari della famiglia Passarelli e di stabilirne la provenienza illecita.
Al blitz, che si è sviluppato tra Napoli, Caserta e Roma, hanno partecipato duecento uomini della Dia e dei carabinieri, chiamati ad apporre i sigilli a 136 appartamenti, 11 magazzini, 75 terreni, 8 negozi, 2 ville, 51 autorimesse, 2 società immobiliari, una società agricola (la Balzana, ex Cirio di Caserta) e un opificio. Una ricchezza che rappresenta il polmone finanziario della cosca, ora più che mai in difficoltà. Spiega il direttore della Dia, Antonio Girone: «I Casalesi hanno qualche problema con tutti questi sequestri, che indeboliscono anche il carisma del clan». Non solo: gli inquirenti ritengono che l’aggressione continua dell’autorità giudiziaria alle fortune dell’organizzazione di Casal di Principe stia addirittura mettendo in discussione il pagamento degli «stipendi» agli affiliati e degli onorari degli avvocati impegnati nei processi al gruppo dirigente della Cupola malavitosa. Una spesa che una precedente inchiesta contro il boss Sandokan aveva quantificato in circa 300mila euro al mese.
Il provvedimento di sequestro è stato firmato dai giudici della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere su richiesta della procura antimafia di Napoli, guidata da Giovandomenico Lepore e coordinata dall’aggiunto Federico Cafiero De Raho. Commenti di grande apprezzamento sono giunti, tra gli altri, dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra magistratura e forze dell’ordine, e dal Premier, Silvio Berlusconi, che ha rivendicato l’azione del Governo a fondamento dei successi antimafia degli ultimi mesi.
«Con l’operazione contro i Casalesi, il patrimonio sequestrato alla criminalità organizzata si sta avvicinando a 10 miliardi di euro. Si tratta di un patrimonio immenso che è impossibile pensare di gestire con gli strumenti ordinari. Ne servono di nuovi, dobbiamo fare una riflessione per capire come realizzare un sistema pubblico-privato che ci consenta di andare fino in fondo», ha infine commentato il ministro Maroni.

INTERVISTA AL PROCURATORE AGGIUNTO FEDERICO CAFIERO DE RAHO


«L’articolo 10 della legge n. 125 del 24 luglio 2008 consente la confisca delle ricchezze mafiose anche quando l’indiziato di mafia, cui esse appartenevano, è morto. Questa facoltà va esercitata nei cinque anni dal decesso nei confronti dei successori dei beni e amplia di molto la sfera d’azione del pubblico ministero, consentendo di intervenire laddove non esiste più la pericolosità della persone, ma solo il bene originato da attività illegali». Federico Cafiero De Raho, procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, è stato il pm del processo «Spartacus», il primo magistrato a mettere alla sbarra il famigerato clan dei Casalesi.
Dottor Cafiero De Raho, l’operazione di oggi riscatta l’amarezza del dissequestro di qualche tempo fa…
«È vero. Il patrimonio, infatti, era già stato sequestrato nel corso del processo Spartacus e per lo stesso Dante Passarelli era stata chiesta una condanna a otto anni di carcere per associazione camorristica. A pochi giorni dalla conclusione del dibattimento, però, Passarelli morì e così il suo tesoro passò nella disponibilità degli eredi. Da quel momento, non fu più possibile aggredire quei beni, pur avendo noi la consapevolezza, anzi la certezza, della loro origine criminale. La nuova legge ci offre, invece, uno strumento in più».
Qual era il ruolo di Passarelli nell’organigramma del clan dei Casalesi?
«Il suo legame con le organizzazioni del Casertano inizia già dagli anni Ottanta, con il boss Antonio Bardellino, e successivamente si consolida con l’ascesa del gruppo vincente di Casal di Principe, al punto tale da diventare gli stesso un obiettivo “sensibile” da parte delle organizzazioni rivali, che vedevano in lui la “mente” del riciclaggio di denaro sporco proveniente dalle estorsioni e dal traffico di droga e l’artefice della straordinaria forza finanziaria dei Casalesi».

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